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Diapason

Con cassetta di risonanza e tazza per il mercurio
Tratto da Roberto Vergara Caffarelli, STRUMENTI SCIENTIFICI TRA XVIII E XIX SECOLO NEL DIPARTIMENTO DI FISICA DELL' UNIVERSITA' DI PISA, in:
C.A. Segnini e R. Vergara Caffarelli, ANTICHI STRUMENTI SCIENTIFICI A PISA (SEC. XVII - XX), pp. 147 - 149, Pisa, 1989.


Descrizione
Suoni di uguale altezza sono prodotti dallo stesso numero di vibrazioni: perciò il diapason, che produce un suono di grande purezza, è uno strumento utile a comparare l’altezza del suono.
È prezioso nell’accordatura degli strumenti: infatti la legge 3 maggio 1989, n.170 nel suo Art.1 stabilisce: "Il suono di riferimento per l’intonazione di base degli strumenti musicali è la nota LA3 , la cui altezza deve corrispondere alla frequenza di 440 Hertz (Hz), misurata alla temperatura ambiente di 20 gradi centigradi". Nell’Art.3 prosegue così: "Per ottemperare a quanto disposto dagli articoli 1 e 2, è fatto obbligo di utilizzare per l'intonazione strumenti di riferimento pratico (diapason a forchetta, regoli metallici, piastre, generatori elettronici, eccetera) tarati alla frequenza di 440 Hertz e dotati di relativo marchio di garanzia, indicante la frequenza prescritta. È ammessa la tolleranza, in più o in meno, non superiore a 0,5 Hertz". Non possiamo tralasciare di far notare l’incongruenza del testo dell’art.1 in cui alla definizione di nota di riferimento (il LA3 deve corrispondere a 440 Hz) viene associata una temperatura. L’isocronismo delle piccole oscillazioni del diapason ne fa un utile cronografo. Può sostituire il pendolo, agendo direttamente sullo scappamento dell’orologio.
Viene usato anche per studiare fenomeni di risonanza.

Il diapason deve essere di acciaio fuso non temperato. I rebbi (le branche della forchetta) non sono ottenuti incurvando al centro una sbarra originariamente retta, al contrario il diapason deve essere ritagliato da una lastra nella sua forma definitiva, in maniera da evitare irregolarità che potrebbero prodursi nell’incurvamento. Il numero delle vibrazioni di un diapason di forma prismatica è indipendente dalla larghezza dei rebbi, ed è invece proporzionale al loro spessore s e alla loro lunghezza L, o più propriamente alla proiezione della linea mediana di una branca sull’asse di simmetria dello strumento, aumentata di una piccola quantità, valutabile a 1%.

Per accordare il diapason si usa la lima: il tono si alza limando le estremità, si abbassa limando la parte concava. Il diapason produce armonici superiori della nota fondamentale, che però sono subito di frequenza assai elevata (le frequenze successive stanno alla fondamentale nel rapporto 6,26 per la prima 17,54 per la seconda 34,48 per la terza ecc.). Le ampiezze degli armonici successivi tuttavia decrescono rapidamente e si ha una rapida loro estinzione: questa è la spiegazione della purezza di suono del diapason, che quindi vibra essenzialmente alla frequenza fondamentale, che può essere prevista teoricamente.
Infatti i rebbi di un diapason a forchetta possono essere assimilati a due verghe prismatiche con una estremità libera e una fissa alla base del diapason, ove si trova sempre un nodo. I numeri m, i cui quadrati determinano la successione delle frequenze dei suoni che può produrre ciascuno dei rebbi, sono definiti dall’equazione:
cosm coshm = -1. Il numero N delle vibrazioni è riassunto nella seguente formula:
N = K s (1,012 L)-2.

Illustrazione del diapason In questa formula K è una costante che si ricava empiricamente: per l’acciaio K = 818270 mm/s, se s ed L sono espressi in mm.
Mercadier ha confrontato questo valore di K con quello teorico dato dalla formula K = m2 v/2π√3= 820331mm/s, in cui v è la velocità del suono nell'acciaio ( v= 4985 m/s), trovando una differenza in percentuale del due per mille.
È evidente che per ottenere toni bassi occorre disporre di diapason con rebbi molto lunghi.
Il tono diminuisce uniformemente col crescere della temperatura, a causa della variazione del modulo di elasticità.

Anche la magnetizzazione, comportando una leggera variazione del modulo di elasticità, fa variare il tono che aumenta se le linee di forza del campo sono perpendicolari al piano di oscillazione, e diminuisce se sono parallele.
Se il diapason viene fatto vibrare tenendolo in mano, il suono prodotto è debole perché si ha una interferenza parziale, tra le onde prodotte dalla faccia esterna di un rebbio con quelle prodotte dalla faccia interna dell’altro, che sono in opposizione di fase: se dall’esterno dei rebbi si propaga una condensazione, dalla regione posta tra i rebbi si propaga una rarefazione e viceversa. Basta però avvicinare l’orecchio a una delle regioni in cui si originano questi sistemi di onde per percepire un suono abbastanza intenso.
Una maniera di eliminare l’interferenza si realizza introducendo, dopo aver eccitato il diapason, uno dei due rebbi in un tubo di cartone.
Se il diapason è appoggiato o montato su una cassa di risonanza, quando il tono proprio del sistema rinforzante è vicino a quello del diapason, l’isocronismo e il numero di vibrazioni può cambiare. Per ottenere un rinforzo del suono del diapason la cassetta di legno su cui è montato, chiusa ad una estremità, deve avere una lunghezza pari a 1/4 della lunghezza d’onda del suono fondamentale del diapason.
Si comprende tutto ciò osservando che il sistema di onde prodotte dal diapason deve essere all’unisono con le vibrazioni della colonna d’aria contenuta nella scatola. La parete che chiude la scatola fa riflettere l’onda con cambiamento di fase, mentre le riflessioni della colonna d'aria alla estremità aperta avvengono senza cambiamento di fase, perché diffondendosi l'onda sonora in tutte le direzioni, le variazioni di pressione sono praticamente nulle. Le onde che percorrono la cassa nei due sensi devono essere tra loro in fase concordante. Tenendo conto del fatto che nella riflessione con cambiamento di fase c’è il guadagno di mezza lunghezza d’onda, se indichiamo con λ la lunghezza d’onda, il cammino deve contenere un numero dispari di semilunghezze d’onda.

L’onda quindi deve fare il percorso verso la parte chiusa e, dopo riflessa, fare il cammino inverso in un numero intero di semilunghezze d’onda: 2L = (2k+1)λ /2. Avremo la lunghezza minima L = λ /4 per k=0. Ovviamente la risonanza non crea energia e le vibrazioni cesseranno molto più presto.
Per la cassetta si usa il legno perché i solidi elastici trasmettono molto bene il suono.
Se il diapason non è avvitato alla cassa il suono è molto basso, se si unisce alla cassa il suono trasmesso dal manico , che vibra all’unisono con i rebbi, è già molto alto; se si utilizza come intermediario il mercurio, contenuto in una bicchiere di vetro, sistemato nell’apposita tazza di legno fissata al centro della cassetta, il suono viene esaltato. Il diapason di bronzo di Marloye che dà UT3 (allora questa nota, ossia il DO3 corrispondeva a 512 vibrazioni semplici) produce l’effetto di un tubo d’organo, se propriamente eccitato. Dato che i rebbi sono più vicini tra di loro all’estremità, si fa vibrare il diapason facendo passare tra loro bruscamente un bastoncino di metallo o di legno. Alle volte si fa vibrare un rebbio con un archetto di violino. In epoca precedente al 1880 il nostro strumento ha subito una modificazione: è stato introdotto al centro del supporto di legno del bicchiere un tubo filettato in cui si può avvitare un diapason che risuona a circa 160 Hz (che corrisponde al vecchio MI2, cioè approssimativamente al mi bemolle attuale).

Cenno storico
La forma del diapason attualmente in uso è stata inventata da John Shore, capo dei trombettieri di George I d’Inghilterra.
Marloye ha costruito molti tipi di diapason, il più celebre dei quali ha un peso di 22 kg e vibra a 64 Hz, producendo un bellissimo suono molto intenso. Occorre però servirsi di un grande archetto con striscie di pelle di bufalo al posto del crine solito. Secondo la scala pitagorica il LA3 corrisponderebbe a 432 Hz.
Nelle orchestre del secolo scorso si usava il La della seconda corda di violino, che corrispondeva a 435 vibrazioni complete, secondo la risoluzione della Conferenza Internazionale di Vienna del 1885. Questa scelta era stata già fatta dalla Francia nel 1859 e dalla Spagna nel 1879.
Nel Settecento si usavano a Parigi diapason di 405 hz per normalizzare il LA3, poi si passò a 425 Hz , in seguito a 423 Hz. Al Teatro di Berlino le vibrazioni di questa nota erano 448 Hz. All’inizio dell’Ottocento il diapason più usato nelle orchestre vibrava alla frequenza di 426,55 Hz con cui era normalizzato DO3.

Bibliografia
MERCADIER Comptes Rendus de l'Académie des Sciences(1874) LXXIX, p.1001 e p.1069. DAGUIN (1878), t.I, pp. 514-516 e 578-581. VIOLLE (1888) t.II, 1ère partie, 213-217, 221, e 280-281. BATTELLI e CARDANI vol.II, pp. 109-111 e 129-130. GAZZ. UFF. (1989) n° 109, p.3.

 

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Scheda
Firma: [inciso sulla cassa di risonanza] MARLOYE ET C.IE/ A PARIS /UT3 512/.
Identificazione: sulla cassa di risonanza. [Inciso] 321. [Stampigliato]279. [Etichetta] 279.
Provenienza: Marloye.
Prezzo: Lire 25.
Materiale: [cassa] legno; [diapason] acciaio.
Dimensioni: [Cassa ] 310 x 118 x 68. [Rebbi del diapason] Spessore 9. Altezza efficace 210.
Datazione: è presente nell'inventario del 1880.