1. Originalità dell’invenzione
La presentazione di questi brevi trattati
1
tra cui vi sono i primi due dati alle stampe da Galileo, offre l'occasione
per alcune considerazioni, che possono essere raggruppate da un punto
di vista logico in tre sezioni: il primo passo da compiere è l’esame
della
originalità dell'invenzione del compasso; solo dopo è opportuno
discutere del
valore scientifico dell’invenzione; infine è interessante
mettere in evidenza un altro aspetto che, essendo abbastanza complesso,
siamo costretti a sintetizzare con l'indicazione generica della
utilizzazione
economica.
Seguendo l’ordine dato a questa introduzione, esamineremo
prima di tutto il problema dell’originalità .
Il compasso fu assai importante per Galileo, e non ci si deve meravigliare
per l'acre e puntigliosa protesta contro il plagio fatto da Baldassarre
Capra con il suo
Usus et fabrica circini che porterà alla
soppressione di quasi tutte le copie di quel libro
2 e
alla redazione della
Difesa.
Dato che vi fu un’indagine ufficiale che si concluse
con una sentenza a favore, è strano che debbano esistere dubbi sull’attribuzione
del compasso geometrico a Galileo. In realtà la sentenza riguarda
il libro plagiato, e solo indirettamente lo strumento. Inoltre, come
capita spesso quando si studia la storia di un'invenzione, anche per
il compasso vi sono molteplici attribuzioni, perché vi sono scritture
precedenti e perché sono stati trovati antichi compassi, con scale
graduate che sono presenti anche nel compasso di Galileo.
Quasi tutte le invenzioni galileiane sono state
messe in discussione: così è stato per l’applicazione del pendolo all’orologio,
così per il termoscopio e per il microscopio.
Esemplare è ciò che avvenne dopo le
scoperte fatte con il cannocchiale: non a caso Galileo per questa invenzione
fu paragonato
a Cristoforo Colombo, un altro contestato scopritore
3.
Una osservazione in proposito: se venisse provato
che Galileo realizzò il
compasso dopo che gli era pervenuta notizia della sua esistenza e del
suo uso, non per questo le rivendicazioni e le difese che egli presentò dovrebbero
essere giudicate insincere, perché sarebbero state coerenti con
il significato che egli dava alla parola
invenzione.
Ricordate infatti che cosa Galileo racconta circa
l'invenzione del
cannocchiale? Gli era giunta notizia che un certo fiammingo aveva fabbricato
un
occhiale con il quale si potevano vedere come se fossero vicini
gli oggetti lontani. Egli fu spinto a ricercarne le ragioni e a escogitare
i mezzi per giungere all’
invenzione di uno strumento siffatto: «
quod
tandem in causa fuit, ut ad rationes inquirendas, necnon media excogitanda,
per quae ad consimilis Organi inventionem devenirem me totum converterem4 ».
Anche per il cannocchiale parlò diinvenzione.
Sentiamo come Galileo racconta, a distanza di sedici
anni, le circostanze del plagio: « Ma non voglio già più lungamente tacere il furto
secondo
5, che
con troppa audacia mi ha voluto fare quell’istesso che già molti anni sono
mi fece l’altro, d’appropriarsi l’invenzione del mio Compasso Geometrico,
ancor ch’io molti anni innanzi l’avessi a gran numero di Signori mostrato
e conferito, e finalmente fatto pubblico colle stampe: e siami per questa
volta perdonato se, contro alla mia natura, contro al costume ed intenzion
mia, forse troppo acerbamente mi risento ed esclamo colà dove
per molti anni ho taciuto. Io parlo di Simon Mario Guntzehusano, che
fu quello che già in Padova, dove allora io mi trovava, trasportò in
lingua latina l’uso del detto mio Compasso, ed attribuendoselo lo fece
ad un suo discepolo sotto suo nome stampare, e subito, forse per fuggir
il castigo, se n’andò alla patria sua, lasciando il suo scolare,
come si dice, nelle peste; contro il quale mi fu forza, in assenza di
Simon Mario, proceder nella maniera ch’è manifesto nella
Difesa ch’allora
feci e publicai » .
Poiché la dedica del
Usus et fabrica circini al Margravio
di Ansbach-Brandenburg porta la data del 7 marzo 1607, mentre la dedica
del
Compasso a Cosimo è datata 10 luglio 1606, sappiamo
che Baldassarre Capra ebbe al massimo otto mesi di tempo per portare
a termine il plagio. Non si può escludere però l’esistenza
di un precedente abbozzo di traduzione, fatta utilizzando una delle scritture
manoscritte che Galileo distribuiva ai suoi studenti.
Galileo, fin dall’introduzione al
Compasso6,
aveva affrontato l'argomento " priorità " adducendo a
motivo dell'edizione privata in 60 esemplari la necessità di assicurarsi,
con la testimonianza delle stampe, la paternità dell’invenzione
del compasso. Per conseguire tal fine fa stampare a proprie spese alcuni
esemplari, per farne dono, insieme allo strumento, al giovane principe
di Toscana, a cui è dedicato, e ad altri Signori
7.
Nel memoriale del 9 aprile 1607, con il ricorso
contro il Capra, indirizzato ai Riformatori dello Studio di Padova,
a cui era affidato anche l’ufficio
della censura in materia di stampa, Galileo conferma quanto già aveva
scritto nel
Compasso: essendogli « pervenuto qualche sentore
che altri si sarebbe appropriata la mia invenzione, quando non vi havessi
fatto provvedimento, mi risolvei fare stampare in Padova alcune copie
[...] per tagliare la strada a quelli che volessero attribuirsi le mie
fatiche
8 ».
Non è possibile precisare chi erano questi
altri; ricordiamo
solo che nella
Difesa Galileo nomina il tedesco Giovanni Eutel
Zugmesser come la persona che verso il 1603 era apparsa in Padova « con
uno strumento nel quale aveva trasportate alcune linee cavate
dal mio, ed altre tralasciatene, ed in luogo di quelle aggiuntevene alcune
altre
9 ».
In quell’occasione i suoi emuli e il suo antico
avversario, così dice
forse alludendo al Capra e a Simon Mayr, vollero insinuare che egli avesse
potuto copiare dallo straniero. Per togliersi di dosso queste malignità Galileo
dovette arrivare ad un confronto in casa di Giacomo Alvise Cornaro e,
alla presenza di molti gentiluomini, finalmente riuscì a far intendere
ai convenuti che era lo Zugmesser che aveva preso l’idea da lui. Lo Zugmesser
divenne matematico dell’arcivescovo Ernesto, Elettore di Colonia e fu
incontrato più volte nel 1610 da Martino Hasdale, che lo trovò assai
ostile a Galileo perché riteneva di essere stato gravemente offeso
nel libro contro il Capra
10.
L’Hasdale riportò a Galileo che il "Matematico di Colonia" aveva
detto «che V.S., in presenza del S.r Cornaro, confessò che
lo stromento di lui fosse migliore del suo, e inoltre che
nello stromento di V.S. ci era un mancamento che non era nel suo
11»..
Però queste affermazioni rimasero del tutto screditate perché ,
trovandosi a Colonia uno dei testimoni di Padova, Pompeo de’ Conti da
Pannichi
12, e volendo l’Hasdale
istituire un confronto davanti all’Elettore, lo Zugmesser « sempre
andò fuggendo la scrima di abboccarsi seco » .
È opportuno approfondire questo primo episodio
di contestazione dell’invenzione: infatti occorre sottolineare che
lo Zugmesser, a parte alcune lamentele
verbali, non reagì alle affermazioni di Galileo, che pur circolavano
stampate, e neppure cercò di indicare altre origini allo strumento.
Galileo così aveva scritto di lui: « cinque anni sono fu
in Padova, e lasciò vedere uno strumento in gran parte cavato
dal mio, nel partirsi di qua lasciò all’Illustre Sig. Michele
Victor di Vustrou di Bransvich [...] alcuni pochi scritti attinenti alla
fabrica e ad alcuni usi del detto strumento, li quali scritti passorno
poi dal detto Signore in mano di M. Gasparo Pignani, esquisitissimo fabricator
di ogni sorte di strumento matematico e dell’istessa scienza non vulgarmente
intendente; i quali scritti, avendone egli ad altri fatto copia, è necessario
che siano venuti in mano del Capra. [...] In oltre non voglio tacere,
come in questi scritti, oltre a mancarvi moltissime operazioni, vi manca
ancora interamente la descrizione e gli usi delle linee, che io chiamo
Aggiunte [...]; vi mancano interamente le Linee Poligrafiche, al modo
che le pongo io, la Squadra da bombardieri usata al modo mio, la divisione
per misurar le pendenze e la divisione del Quadrante per misurar con
la vista: in oltre dal nominarmi che fa il detto Fiammingo più volte
in questi brevissimi scritti si vede come egli aveva vedute le scritture
mie, benché non ancora stampate, e, con migliore e più civil
creanza di quella del Capra non aveva procurato di asconder questa verità
13
» .
Insomma è abbastanza evidente che il "Fiammingo" (come
sempre viene chiamato da Galileo lo Zugmesser) aveva solo modificato
o, in certi casi, cercato di completare lo strumento galileiano
14.
Un commento a conclusione dell’argomento "Zugmesser": Galileo
al Capra aveva potuto contestare soprattutto il plagio dello scritto,
perché il suo avversario si era mantenuto abbastanza nel vago
su chi avesse inventato lo strumento. Nell’introduzione, per esempio,
il Capra afferma che, mentre altri disputano dell’invenzione e ne fanno
copie ad alto prezzo, egli ha deciso di divulgare l’uso e la costruzione
di esso per la pubblica utilità di tutti gli studiosi. È vero
che Galileo trova nel libro molte espressioni ambigue che possono convincere
il lettore che il Capra pretende per sè l’invenzione dello strumento,
ma in concreto nella discussione davanti ai Riformatori l’accusato, che
non è in grado di esibire un solo esemplare del suo strumento,
non osa neppure sostenere di averne mai costruito uno.
Nel caso dello Zugmesser invece lo strumento c’era
e Galileo è costretto
a contestarne l'invenzione e fa ciò senza nessuna esitazione.
Che Galileo fosse l’inventore del compasso lo credevano
Paolo Sarpi, Gianfrancesco Sagredo, Giacomo Alvise Cornaro e Giacomo
Badouè re,
che rilasciarono dichiarazioni a suo favore, e certamente lo credevano
anche quelli che Galileo avrebbe desiderato presenti a Venezia:«
a me non manchino infiniti testimoni, dalla deposizion dei quali io pienissimamente
posso far constare alle SS.VV come l’opera della quale si tratta, non
trovato moderno del Capra, ma è mia antica invenzione, la quale
io non ho usurpato da altri
15» .
Per i testimoni si veda la lettera che il Cornaro
scrive a Galileo il 21 aprile 1607: « Io mo’ dubito che pochi di questo Studio siano
per venire costa : onde direi, che saria bene di procurare un
altro simile congresso qua in Padova, con l'intervento de’ Sig.ri Rettori
della Città . Hieri parlai con il Pilan, il quale m’ha detto d’haver
comperato il libro del Capra, et vedutolo diligentemente, trova ch’esso
ha rubato da V.S., dal Magini, et da quel tale Tedesco, o Fiammingo,
et che non vi è cosa di suo: onde non si può dir a bastanza
della sfacciataggine di quel giovane prosontuosissimo
16» .
Non è il caso di riportare adesso tutte le vibranti affermazioni
di paternità che possono essere facilmente trovate nella
Difesa,
ma per la sua rilevanza è bene qui mettere in evidenza un passo
ove per la prima volta appare la possibilità dell’esistenza di
autori precedenti: « Ad alcuni [il Capra] va affermando quello,
che egli ha stampato, esser opera del suo Maestro; ad altri predica,
che questo Strumento è invenzione di Tico Brae, e per Padova comunemente
va dicendo, che io ho presa questa invenzione da un libro per avanti
stampato, e pubblicato in Germania in lingua Tedesca, il quale a confusion
mia vuol far venire, e farlo vedere a tutti. [...] Verrà dunque
il libro stampato in Alemagna, e per quanto intendo il Gromo ne sarà apportatore;
ma bisognerà che il Capra sia di questo secondo miglior custode,
che dell’altro, il quale già ebbe (che pur è forza, che
egli altra volta l’abbia avuto, poiché fa, come in quello si contiene
quanto io ho dato fuori per invenzion mia) per poterlo mostrare a chi
non credesse alle sue semplici parole
17» .
Nonostante l'ironia di Galileo che non crede all’esistenza
del libro, il Capra in questo aveva ragione, perché uno con la data del 1604
era stato stampato da Levino Hulsio, un altro l’anno seguente da Filippo
Horcher: da entrambi viene descritto, attribuendolo a Joost Burgi, un
compasso di riduzione, che tuttavia è altra cosa che il compasso
di Galileo.
A questo punto avendo fatto un primo nome, è necessario citare
una serie di altri eventuali precursori o inventori: Nicolò Tartaglia
con la sua squadra dei bombardieri, Fabrizio Mordente e il Commandino
con i loro compassi, Guidobaldo del Monte, Michele Coignet
18,
e poi Thomas Hood e altri ancora.
Giovanbattista Venturi
19 dice
che l’Hulsio stampò a Francoforte in tedesco diversi opuscoli
intorno ad alcuni strumenti geometrici; dei quali il terzo pubblicato
nel 1607, ma annunziato e citato già sino dal 1603, contiene un
trattato del compasso di proporzione di Giusto Birgio macchinista dell’Imperatore.
Questo è il compasso del Commandino a centro mobile colle faccie
piatte; una delle faccie porta 1.o la divisione in parti uguali della
linea retta, 2.o della linea circolare. Nell'altra faccia sono 1.o
proportiones
homologorum planorum augendo vel diminuendo, cioè le linee
geometriche del
Galileo; 2.o
proportiones homologorum corporum augendo vel diminuendo sono
le
stereometriche; 3.o il punto a cui è posto il centro,
si ha dall’altra la periferia; 4.o i punti per trasformare i sei corpi
regolari uno nell’altro, notati G,P,C,O,D,I, cioè
Globus, Piramis, Cubus, Octaedrum, Dodecaedrum, Icosaedrum.
Da ciò si vede che il Birgio non aveva già copiato il Galileo,
ma partendo dal compasso del Commandino, ne avea fatto di testa sua diverse
utili applicazioni, e tra queste alcune simili a quelle del Galileo.
Nè già i principii dei due compassi sono molto diversi
tra loro: Nella Figura V.o Tav 1.a EFGH rappresenta il compasso del Commandino
e di Birgio; ABC esprime il Galileano. Ora dall’una banda EK:KF = EG:HF,
e dall’altra AM:AB = MN:BC. Onde il fondamento geometrico del primo compasso è ,
si può dire, lo stesso con quello del secondo; se non che il principio
del Galileano sembra più naturale e più semplice.
E convien pure che il compasso di proporzione con
le sole due coppie di linee aritmetiche, e dei seni fattevi incidere
da Guidubaldo fosse
venuto in qualche uso, giacchè un simile istromento così semplice
vien ricordato da Speckle nella sua architettura militare; e Clavio dice
essersene veduti a Roma nel 1604; ed Henrion racconta che gli ne fu mostrato
uno nel 1614.
Sussiste sempre, che, tranne forse le due prime coppie di linee, le
aritmetiche cioè e
le
geometriche, le altre cinque coppie furono applicate nel compasso
di centro fisso, di proprio ingegno dal Galileo. Il quadrante da lui
aggiuntovi veniva già comunemente impiegato nel secolo XVI, esso
non è che una derivazione di quelli che si costumavano da lungo
tempo innanzi. I geometri concordamente riconoscono che il compasso di
Galileo va soggetto a meno aberrazioni, e riesce d’un uso più pronto
e più esteso, che non quello di «Birgio».
Non ci siamo tuttavia assegnati come tema lo studio
delle relazioni di dipendenza storica o logica tra i vari strumenti
matematici o misuratori,
analoghi al compasso, proposti o costruiti nella seconda metà del
cinquecento. Il quesito che ci siamo proposti e a cui vorremmo rispondere, è se
Galileo ebbe notizia di un precedente strumento, da cui abbia tratto
ispirazione, o se l'invenzione è completamente originale.
Il Favaro, per esempio, non crede a una totale indipendenza: «Non è improbabile
che Galileo, il quale fu tanto intimo del Marchese Guidobaldo del Monte
20,
e che verosimilmente lo visitò anche in Pesaro, abbia avuto notizia
di tale strumento, e certamente di analoghi egli ne vide che lo guidarono
alla invenzione del proprio
21» .
È necessario quindi discutere della possibilità che
Guidobaldo abbia suggerito lo strumento a Galileo.
Esiste un numero sufficiente di documenti che sembrano
escludere che Guidobaldo sia la prima fonte del compasso galileiano,
o anche di una
rudimentale versione di esso. Guidobaldo sapeva che Galileo aveva costruito
il compasso perché suo figlio Orazio ne possedeva un «esemplare
22» .
Qualcuno ha detto che Guidobaldo, da gran signore, non si preoccupò di
rivendicare l’invenzione. Ma pensiamo a Galileo: non avrebbe dovuto sentirsi
imbarazzato verso chi lo aveva tanto aiutato?
Invece non vi fu mai ombra alcuna tra loro e i legami
tra Galileo e la famiglia del marchese rimasero strettissimi, anche
dopo la morte di
Guidobaldo. Il figlio Alessandro così gli scrive l’8 gennaio 1607: « Essendo
che V.S. sia stato sempre di tanto affetto verso la persona del S.r Guid’Ubaldo
mio padre, non posso restare, ancorchè con infinito mio dolore,
avvisarla [...] che hieri l’altro, giorno dell’Epiphania, alle 20 hore
et un quarto, se n’è passato da questa all’altra vita migliore
[...] avendo lei perduto chi amava tanto V.S., si compiaccia compatire
al dolore del caso successo e ricevere me con gl’altri miei fratelli,
che in suo loco siamo succeduti, per suoi servitori d’affetti se non
d’effetti, che pareggino i meriti di V.S. e lo amore con che l'osservava
il sud.o Sig.r nostro padre
23» .
Infine il 15 giugno 1610 Orazio del Monte scrive: « Aspettamo
qual cosa sopra l’istromento suo geometrico, perché nelli libretti
V.S.Ecc.ma promette un giorno far vedere cose di più
24» .
Quindi Orazio aveva sia il rarissimo
Compasso, sia la
Difesa.
In questa lettera, a Galileo viene chiesto di cercare
un buon stampatore a Padova, perché Orazio dal Monte vorrebbe pubblicare alcune opere
del padre: tra queste un’opera che riguarda «la fabrica di alcuni
istromenti ritrovati da lui, delle quali tutte cose vi sono le figure
intagliate» .
È difficile accettare che Orazio, che possedeva
e apprezzava il compasso di Galileo, non sapesse se il padre molti
anni prima ne aveva fatto costruire
uno simile. È ancora più difficile immaginare che, essendogli
noto che la prima idea del compasso risaliva al padre, Orazio affidasse
gli scritti sugli strumenti a chi aveva utilizzato per sè una
idea che ebbe così grande successo, senza neppure riconoscere
a Guidobaldo il dovuto merito.
Favaro, pur conoscendo tutto ciò , davanti alle contestazioni
che sorgevano anche ai suoi tempi sulla priorità dell’invenzione,
affermò : « a torto da taluni fu detto che Galileo è l’inventore
del Compasso di Proporzione
25» ,
in quanto è lo stesso Galilei che riconosce che « prima
del suo altri consimili strumenti erano stati costruiti e correvano per
le mani degli studiosi» .
A prova delle sue affermazioni il Favaro riporta una frase del
Compasso,
tratta dall’introduzione
Ai discreti lettori: «Quello, che
io abbia con questa mia opera conseguito, non lo dirò io ma lo
lascierò giudicare a quelli, che da me sin qui l’hanno appresa,
o per l’avvenire l’apprenderanno, e in particolare da chi avrà veduti
gli strumenti degli altri in simili propositi ritrovati; benchè la
più gran parte dell’invenzioni, e le maggiori, che nel mio strumento
si contengono, da altri sin qui non sono state nè tentate, nè immaginate» .
È corretto dare a queste parole il significato
che il Favaro volle attribuirgli? Se si interpreta questa dichiarazione
come una ammissione
dell’esistenza di altri compassi, essa diviene inconciliabile con quella,
solenne e formale, che leggiamo nel memoriale ai Riformatori: «Onde,
essendo io Galileo Galilei sopradetto, vero, legittimo et solo inventore,
sì che altri non ve ne ha parte alcuna, dello strumento et di
tutte le sue operazioni già da me publicate» .
Sta di fatto che fino al 1607 nessuno a Padova aveva
sentito parlare di altri strumenti simili al compasso oltre a quello
portato dallo Zugmesser,
così miseramente sgominato, tanto è che al Capra, nei contradditori
con Galileo, non riuscì di negare al suo avversario la paternità dello
strumento.
Non è possibile sostenere la posizione del Favaro senza nello
stesso tempo smentire Galileo, che dichiara davanti alle massime autorità accademiche: «sono
già dieci anni, havendo dopo lunghi et assidui studii, ridotto
a qualche perfezione un mio strumento matematico, di mia pura imaginazione
escogitato, inventato et perfezionato, le utilità del quale et
in numero et in qualità essendo grandi in tutte le parti della
matematiche, tanto contemplative, quanto civili, militari et mecaniche
stimai sin dal detto tempo potere a molti giovare col conferire con loro
et li strumenti et il modo dell’usargli, dandone appresso in scrittura
chiara et piena istruzione »
26.
Si tratta anche di non smentire, se è possibile,
tutti coloro che presero le parti di Galileo contro il Capra.
A quali strumenti dunque Galileo avrà fatto
riferimento? Anche solo limitando l’esame ai cataloghi del Museo di
Storia della Scienza
di Firenze
27 troviamo alcuni esemplari
che hanno una vaga rassomiglianza con il compasso, per la forma (regoli
incernierati con scale incise) o per la funzione a cui sono destinati:
gli strumenti costruiti da Baldassarre Lanci (tra questi lo strumento
per la prospettiva o distanziometro, in cui vi sono inseriti due compassi
graduati; un archimetro per triangolazioni; un compasso datato 1557);
il compasso distanziometro di Antonio Bianchini datato 1564; il regolo
topografico di Haumphrey Cole del 1575, con scale per calcolare superfici
e volumi e con giunto che si può bloccare ad angolo retto per
essere usato come clinometro.
Vi sono altre considerazioni che possono aiutare
a far luce sulla questione della completa originalità dell'invenzione
galileiana.
Prima di tutto la lenta evoluzione subita dallo
strumento, che è documentata
in maniera oggettiva: il Mercuriale, per esempio, scrive a Galileo nel
1601 «torno a dirgli che in tutti i modi veda di finire quel suo
instrumento geometrico e militare
28» .
Anche Giovanfrancesco Sagredo e Giacomo Badovere attestano i successivi
miglioramenti apportati al compasso.
È significativa l’enfasi data all’uso militare del compasso, utilizzato
da Galileo per l’istruzione dei suoi studenti privati. Il
Compasso termina
con una dichiarazione in tal senso: «Ma, come da principio si è detto,
la mia presente intenzione è stata di parlar con persone militari
solamente, e di pochissime altre cose fuori di quelle che a simili professori
appartengono, riservandomi in altra occasione a publicare, insieme con
la fabrica dello Strumento, una più ampla descrizione de’ suoi
usi» .
Sappiamo che un suo trattato intitolato
Breve istruzione all’architettura
militare porta la data del 25 maggio 1593 e viene giudicato dal
Favaro un sunto di lezioni tenute da Galileo durante il suo primo anno
di insegnamento. In esso, come in altri trattati del genere, all'inizio
vengono date alcune nozioni pratiche di disegno, soprattutto si insegna
a dividere linee, a riprodurre angoli, a costruire poligoni regolari.
Oggetto di insegnamento è anche «il modo di descrivere
le piante delle fortezze, con quelle misure e proporzioni che pareranno
più atte a rendere la nostra fortificazione tale quale si desidera
[...] Fa mestiero che quelle braccia, piedi o pertiche, con le quali
vogliamo misurare la nostra vera fortezza, si riduchino a misure così piccole,
che possino capire nella superficie piccola ch’aremo innanzi»
29;
E qui l’ingegnere militare deve affrontare il problema di dover proporzionatamente
crescere o scemare le misure quando si debbano usare unità di
paesi diversi e deve affrontare il problema di dichiarare il modo di
fare e di usare la scala. Tutte queste operazioni divengono assai semplici
con il compasso.
Non era solo Galileo che si sforzava di associare
ai suoi trattati e alle lezioni sulle fortificazioni l’uso di opportuni
strumenti. Tra molti
che hanno descritto strumenti da essi ritrovati, merita di essere ricordato
l’autore di un libro che, nel suo genere, è uno dei più belli
e istruttivi di quel tempo
30:
Le
fortificazioni di Buonaiuto Lorini, nobile fiorentino che fu stampato
a Venezia nel 1597. Ristampando il volume nel 1609, il Lorini vi aggiunse
un sesto libro in cui «mostra l'ordine del misurare le distanze & levare
le piante» e descrive
31 accuratamente
la costruzione e l’uso di un nuovo strumento per misurar le distanze,
a cui dà il nome di
mezzo balestrino.
Nel suo strumento vi è un quadrante che fa il servizio della
squadra dei bombardieri perché serve «a bombardieri per
mettere a segno l’artiglierie a quella elevatione, che gli occorre per
ferire il nemico» ; lo strumento è poi segnato in maniera
da potersi «sapere il peso delle palle di ferro dell’artiglierie,
appresso il vento che se gli doverà dare» ; può essere
usato per livellare il terreno e per misurare le distanze, i monti e
le profondità delle valli; serve per disegnare i confini di uno
stato o levare le piante delle fortezze ecc. Il compasso può fare
tutte queste operazioni, eppure è completamente diverso. Ecco
un esempio di cosa forse intendeva Galileo quando faceva riferimento
a strumenti «
in simili propositi ritrovati ».
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2. Valore scientifico del compasso.
Il sistema metrico decimale è entrato in uso assai recentemente:
al tempo di Galileo il braccio fiorentino era diviso in venti soldi,
e il soldo in dodici piccioli o denari; il braccio veneto era diviso
in dodici once e l’oncia in dodici punti. Sistemi di partizione non decimale
occorrevano anche nelle misure di peso, di superficie, di volume e nella
monetazione; per questo in molti casi era più semplice esprimere
sotto forma di frazione la parte non intera.
Così facendo, però , anche le semplici operazioni aritmetiche
potevano risultare non troppo facili; le difficoltà poi aumentavano
quando si dovevano estrarre radici quadrate o cubiche.
Il volume 72 dei manoscritti galileiani, conservati presso la Biblioteca
Nazionale di Firenze, contiene moltissimi fogli con calcoli fatti da
Galileo
32. Vi si trovano anche operazioni molto semplici
con risultati sbagliati.
33
Qualche volta l’errore avviene nella manipolazione delle frazioni: per esempio
nel foglio 176r Galileo moltiplica 265 1/2 per 254 3/5 ottenendo 67570.
È istruttivo cercare di capire la procedura di calcolo. È assai probabile
che Galileo abbia fatto i conti nella seguente maniera: prima ha moltiplicato
tra di loro le due parti intere 265x254; senza sommare i prodotti parziali
265
254
______
1060
1325
530
poi ha moltiplicato 1/2 per 254 e ha scritto il
risultato 127 mettendo le unità e le decine nei posti vuoti
delle rispettive colonne, aggiungendo una nuova linea non avendo altro
posto per scrivere 1 nella
colonna delle centinaia.
265 1/2
254
______
1060
13257
5302
1
A questo punto Galileo avrebbe dovuto moltiplicare 265 per 3/5, ma qui
si distrae (i suoi errori ovviamente sono sempre di distrazione) e moltiplica
265 per 1/2.
Aggiunge poi il risultato arrotondato 133 con il sistema
di collocare unità , decine e centinaia negli spazi vuoti delle
corrispondenti colonne, e arriva così alla forma che hanno tutte
le moltiplicazioni nei fogli del volume 72 dei manoscritti galileiani.
265 1/2
254 1/2
__________
1060
13257
53023
13
1
__________
67570
Nel foglio naturalmente c’è scritto 254 3/5 e non 254 1/2.
A parte l’errore di distrazione, è interessante notare che qui,
come anche in altri casi, Galileo non ritiene importante avere il risultato
esatto, per il quale sarebbe stato necessario moltiplicare tra loro le
due frazioni.
Ci si può chiedere se il compasso può effettuare moltiplicazioni.
La risposta è affermativa: l’operazione di moltiplicare due numeri è implicita
in quella che Galileo chiama regola del tre. Perché allora Galileo
fa i conti a mano e non usa il compasso?
Per rispondere, facciamo il tentativo di moltiplicare 254 per 265 con
un immaginario compasso, cercando di intuire il procedimento.
Le istruzioni potrebbero essere queste: si apra un normale compasso
in maniera che le punte distino tra loro quanto 100 punti della linea
aritmetica. Si apra il compasso geometrico
34 in
maniera che le punte del compasso ordinario coincidano trasversalmente
con i punti 254 delle due linee aritmetiche; si restringano poi le punte
del compasso ordinario in maniera che distino solo 26,5 punti e lo si
usi per determinare sulle linee aritmetiche i due punti che corrispondono
alla distanza trasversale di 26,5. Avremo il risultato moltiplicando
per mille il numero corrispondente a questi punti delle linee aritmetiche.
Per eseguire divisioni il procedimento è analogo.
Si vede subito che si possono conoscere al massimo
tre cifre del risultato: ciò spiega perché il compasso non è una macchina
moltiplicatrice molto precisa, (a meno che non abbia dimensioni assai
grandi) e perché Galileo non discuta il suo uso a tal fine.
Il compasso è invece assai utile per estrarre radici quadrate
o cubiche, perché in questo caso i calcoli non sono elementari
per chi non ha una buona istruzione matematica. Galileo sfrutta assai
bene queste linee per molte operazioni.
A parte alcune utilizzazione peculiari, come la
regola per cambiare le monete o per calcolare gli interessi composti,
quasi tutte le applicazioni
sono di carattere geometrico. Tra queste hanno abbastanza interesse pratico
i diversi modi di misurar con la vista. Lo strumento è quindi
utile soprattutto come mezzo didattico per imparare aritmetica e geometria.
Il gesuita Paolo Casati nella sua opera dedicata al compasso
35
ci dice a che cosa può servire : « opera
utile non solo a geometri, agrimensori, architetti civili, e militari,
pittori, scoltori, et a tutti quelli che usano del dissegno, ma anche
a bombardieri, sergenti di battaglia, mercanti, et altri, per molte operazioni
aritmetiche, fatte con grandissima utilità » . Il Casati
nella sua prefazione, dopo aver ricordato quanto fosse difficile trovare
libri sull'uso del compasso, fa sapere di non aver «havuto fortuna
di vedere mai alcun autore, fuorché il Galilei, di cui ventidue
anni sono nella libreria nostra del Collegio Romano mi capitò un
picciolo libretto di questa materia da me allhora poco inteso» .
Francesco Maria Gaudio un secolo più tardi
scrive
36: «
Ab
eadem doctrina pendet constructio Sectoris Geometrici,
qui Circinum
proportionum,
aut Geometricus,
vel etiam Compassus
appellari
solet» . Poco più avanti troviamo un’affermazione
del Gaudio che ci rivela il valore didattico che ancora veniva attribuito
al compasso di Galileo a un secolo e mezzo dalla sua invenzione: «La
spiegazione di questo strumento e il suo uso abbracciano quasi tutta
la geometria pratica e questa spiegazione occuperà senza dubbio
una notevole parte della nostra
Geometria Pratica. Sia qui sufficiente
accennare al principio da cui deriva e che deve essere stato presente
alla mente del suo inventore allorché lo immaginò» .
Per quanto concerne il valore scientifico del compasso,
non si può negare
che le linee di gran lunga più interessanti sono le linee metalliche.
Per conoscere i valori delle densità segnate da Galileo lungo
queste linee, occorrerebbe avere un compasso di documentata provenienza
galileiana, oppure misurare le distanze sull’incisione pubblicata nel
1640 a Padova, con il presupposto che essa lo descriva accuratamente.
Nel testo, di esplicito, appare solo il rapporto tra i volumi di due
sfere di ugual peso, una d'oro e l’altra d’argento. Il rapporto 0,6 indicato
potrebbe essere un valore arrotondato, perché secondo le densità della
tabella che usualmente viene associata alla
Bilancetta, il rapporto è invece
0,54, coincidente con i risultati di misure moderne.
Sono assai interessanti, per quel che dicono a proposito
delle linee metalliche, le trattazioni di Mattia Bernaggeri e del Capra,
che allargano
molto la discussione, soprattutto il primo. Lo stesso Galilei si era
meravigliato per l’indicazione fatta dal Capra del valore della densità dell’argento
vivo, come allora veniva chiamato il mercurio.
Nessuno dei due tuttavia si era accorto di un notevole errore in cui
Galileo era incorso.
Pierre Petit in un libricino estremamente interessante pubblicato
37
nel 1634, parte del quale era stata composta
fin dal 1625, lo rende pubblico nella proposizione VIII che inizia a
pagina 113 ed è intitolata «Erreurs de Galilée, de
Berneggerus & de Henrion
38».
Per il suo interesse ne riportiamo un ampio stralcio: «Mathias
Berneggerus nella traduzione che egli dice di aver fatto del trattato
italiano sull’uso del compasso di proporzione di Galileo, alle pagine
32 e 33 dice che per sapere le grandezze dei corpi misti e composti di
differenti metalli, occorre dividere la differenza delle dimensioni dei
menzionati metalli semplici secondo la proporzione data dalla lega e
prendere il punto di questa divisione.
Per esempio, sia CD la grandezza o diametro del
rame (è il suo
stesso esempio) e CE sia quello dello stagno, e si debba trovare la grandezza
di un corpo misto di tre parti di rame e di due di stagno. Egli dice
che per farlo occorre dividere la differenza DE in tal maniera che DF
contenga due parti e FE ne contenga tre. Allora la linea CF è la
grandezza o diametro del corpo misto di detti metalli,
C D F E
_______________________
| | | | | | | |
secondo la menzionata proporzione di 3 di rame ogni
2 di stagno. Per sapere se Galileo stesso l’abbia detto, apparentemente
non è molto
da crederlo, benché il suo traduttore l’assicuri: ma uno dei nostri
scrittori comuni [= Escrivains ordinaires] che prende facilmente dagli
altri quello che vi trova di meglio
39,
non ne ha alcun dubbio e ha dato questa falsa pratica per cosa del tutto
sicura secondo Berneggerus.
Ecco le sue stesse parole, a pag. 143 dell’uso
del compasso di proporzione dell’anno 1626 e 1631:
si può fare
la stessa cosa di due metalli mescolati insieme, e di una lega metà d’argento
e metà di rame, occorre dividere in due parti uguali la distanza
tra i due caratteri [=segni chimici]
dell’argento e del rame,
in seguito operare con il punto di questa divisione esattamente come
con quelli dei metalli semplici. Ma se si vuole la lega di una parte
di rame su due d’argento, occorre dividere la detta distanza in tre parti
uguali e il punto della prima divisione, cioè di uno che è vicino
all’argento, sarà quello da utilizzare per la lega di una parte
di rame su due d'argento. Invece per una lega d’una parte d’argento su
due di rame, occorrerà prendere il punto più vicino al
rame. Ecco la bella opinione che occorre rifiutare per mezzo dei
suoi stessi numeri: per esempio, avendo dato il diametro dell’oro di
730 parti, e quello dell’argento di 895, egli conclude che il corpo che è una
lega metà oro e metà argento avrà certamente il
suo diametro a metà della loro differenza, che è 165; cioè che
aggiungendo 82 e mezzo, metà di questa differenza, a 730, che è l’oro,
si avrà 812 e mezzo, per la grandezza del corpo misto nella detta
proporzione e uguale agli altri» .
Pierre Petit ha bisogno di altre due pagine per
spiegare l’errore e arrivare alla sua conclusione: nel caso della lega
di ugual parti di
oro e argento, se le tre sfere d’oro, d’argento e della lega, devono
avere ugual peso, allora il cubo del diametro della lega è uguale
alla semisomma dei cubi dei diametri delle sfere d’oro e d’argento. Per
questo motivo il diametro della lega è 820 e non 812 e mezzo,
come asserivano Henrion e Galilei
40.
Ci si può chiedere se Galileo si sia accorto in seguito di questo
errore e, in caso affermativo, perché non abbia cercato di ristampare
il
Compasso, cogliendo così l’opportunità sia per
questa correzione sia per render note quelle ulteriori applicazioni da
lui non inserite nell’edizione del 1606.
La ragione plausibile sta forse nella gran quantità di
pubblicazioni sul compasso che uscirono nel giro di pochi anni. A Galileo
doveva esser bastata la disputa con il Capra; certo non voleva essere
trascinato in nuove polemiche proprio ora che con la sua notorietà attirava
l’interesse di chi con le polemiche poteva sperare di mettersi in luce.
L'Henrion per esempio, che faceva risalire le sue
ricerche sul compasso al 1606, si era premurato di proclamare la propria
originalità : « Dunque,
io chiamo
mio questo uso del compasso, perché io l’ho fatto
senza averne visto alcun altro, e di fatto nessuno ancora aveva messo
alla luce nulla, e quelli che subito dopo ne pubblicarono qualcosa, ignoravano
le più belle operazioni di detto compasso. [...] Or sono due anni
il signor Gunter, professore di astronomia al collegio di Gresham a Londra,
ha fatto stampare in inglese un uso di questo compasso, nel quale vi
sono alcune di quelle proposizioni, che io avevo messo in luce dodici
anni prima» .
Il libro citato dall'Henrion è quello di
Edmund Gunter:
The
description and use of the Sector (London 1623).
Possiamo fare un rapido elenco di altre pubblicazioni, di cui ci suggerisce
il titolo il Venturi
41:
1604. Hulsii Levini,
Beschreibung und Unterricht
des Jobst Bürgi
proportional-Cirkels. Frankfurt.
1605. Philippi Horcher,
Libri tres, in quibus primo constructio circini
proportionum edocetur. Deinde explicatur quomodo eodem mediante circino,
tam quantitates continuae, quam discretae, inter se addi, subduci,
multiplicari, et dividi, brevissimo compendio posint. Maguntiae.a
1607. Balthasaris Caprae.
Usus et fabrica circini cuiusdam proportionis. Patavii.
1608. Leonhard Zubler,
Nova Geometria Pyrobolia, Zurich.
1610 Faulhabers.
Proportional-Zirkel; (nel suo trattato delle
nuove invenzioni di geometria e prospettiva) Ulmae.
1610. Georgius Gelgemayers,
Unterricht von proportional cirkel.
Laungingen (ristampe: Augsburg 1610, Ulm 1615 e 1617).
1613. Galilaeis de Galilaeis,
De proportionum
instrumento [...] Tractatus, [. ..] a Mathia Berneggero ex italica
in latinam linguam translatus:
adjectis etiam notis illustratus, quibus & artificiosa Instrumenti
fabrica, & usus ulterior exponitur. Argentorati. (Rimesso in
circolazione nel 1635 con nuovo frontespizio).
1615. Christ Laurenbergii,
Clavis instrumentalis; oder arithm.Geom.Proportional-Instrument.
Leipzig.
1618. D. Henrion,
Usage du compas de proportion.
Paris. (Ristampe:1624, ecc. Tra il 1630 e il 1681 furono fatte più di
venti edizioni).
1619. Georgius Gelgemayers,
Centiloquium circini proportionum.
Nurnberg.
1623. Adriani Metii,
Praxis nova geometrica per usum circini proportionalis.
Franeckerae. (Ristampe ibid. 1625, Amstelod 1629).
1626. Mich. Cornette,
La géométrie reduite en une facile
pratique par deux instruments, dont un est le pantomètre ou
compas de proportion. Paris.
1626. Nicolaus Barthelt,
Instrumentum instrumentorum[...]. Alten
Stettin.
1627. Wolffangus Lochman,
Instrumentum instrumentorum. Alten
Stettin (ristampa: Rostoch 1627).
1634. P. Petit,
Construction et usage du compas de proportion.
Paris.
Per Galileo ce n’era abbastanza per rinunciare a una ristampa del libro:
aveva ben altro in mente!
torna in cima alla pagina
3. Utilizzazione economica.
Raccogliendo e collegando tra loro le notizie riferibili
al compasso geometrico, è possibile far emergere in maniera chiara i motivi
economici e scientifici che spinsero Galileo a cercare il Granduca per
un conveniente e definitivo ritorno in Toscana. Infatti, la via che trovò per
avvicinare il suo sovrano
42, fu
quella dell’istruzione matematica del giovane Cosimo attraverso l’uso
del compasso.
Riconosciuto il ruolo importante del compasso nella "strategia
del ritorno", risulta più comprensibile anche il motivo della
protesta contro il Capra, che, con il plagio dello strumento e della
scrittura, poteva compromettere il suo piano.
I contatti, che portarono ad un progressivo avvicinamento,
furono avviati da Galileo durante il lungo periodo che andò dal
27 settembre 1604, quando ebbe termine il suo contratto per la Lettura
delle Matematiche
a Padova, fino al 6 agosto 1606, quando, dopo quasi due anni di attesa,
finalmente fu di nuovo confermato.
Nel giugno del 1605 infatti Galileo riuscì a far giungere a Cristina
di Lorena la notizia della sua intenzione di dedicare al principe ereditario
di Toscana una scrittura sull’uso del compasso. La mossa fu opportuna,
perché ne ebbe subito l’assenso e un invito a passare l’estate
a corte.
In tal modo stabilì un contatto che seppe poi consolidare, con
la stima che si guadagnò presso la famiglia granducale.
Quali sono le motivazioni che gli fecero desiderare
un cambiamento radicale di vita? Più importante fra tutte l’esigenza che travagliò Galileo,
non più giovanissimo, di portare a termine il grande progetto
intellettuale che ormai aveva ben chiaro davanti a sè . Niente
più insegnamento, niente lezioni private, non più studenti
a dozzina; solo tempo libero per ricercare, sperimentare, scrivere.
Sapeva di aver bisogno di tutto il suo tempo per
realizzare la sua scienza nuova, per dare sostanza a quel «concetto immenso e pieno di filosofia,
astronomia, geometria» che aveva concepito: non poteva allora prevedere
che per realizzarlo avrebbe dovuto attendere ancora trenta anni e superare
tante battaglie.
Nella dedica del compasso a Cosimo vi è una promessa molto significativa:
Gradirà dunque l’A.V.S. questo mio, dirò quasi, scherzo
matematico, ai suoi primi giovanili studii nobilmente conforme; ed avanzandosi
con l’età in queste, veramente regie, discipline, aspetti di tempo
in tempo dal mio basso ingegno tutti quei più maturi frutti, che
dalla Divina Provvidenza m'è stato e mi sarà conceduto
di raccorre» .
Galileo ritornò con ogni onore alla cattedra
di Pisa, lasciata nel 1592; ma solo
pro forma perché Cosimo,
divenuto granduca, tenne presente ogni sua richiesta
43 e
lo elesse non solo Primario Matematico dello Studio (perché così fosse
lecito provvedere al pagamento dello stipendio con i denari dell'università ),
senza obbligo d’habitare in Pisa nè di leggervi se non honorariamente,
quando piacesse a voi o ve lo commettessimo espressa et estraordinariamente
noi»
44, ma soprattutto
proprio Primario Matematico e Filosofo» . In vista delle discussioni
di principio che si aspettava di dover affrontare, la qualifica di filosofo
a Galileo serviva moltissimo, e la richiese esplicitamente durante le
trattative per il ritorno, avendo dichiarato di aver studiato più anni
in filosofia, che mesi in matematica.
È sorprendente ravvisare che pubblicando nel 1606
Le operazioni
del Compasso geometrico et militare, a quarantadue anni e con quasi
vent’anni di insegnamento e di ricerca alle spalle, Galileo dava alle
stampe la sua prima opera. Un'edizione di soli sessanta esemplari,
mai più da lui ristampata. Un’edizione fatta imprimere in casa
e destinata prima al Serenissimo principe di Toscana mio Signore
e poi ad altri Signori, da i quali so questa mia fatica esser desiderata» .
Quarantadue anni! Del periodo padovano scriverà allora:
venti anni ed i migliori di mia età in dispensare, come si dice,
a minuto alle richieste d’ognuno quel poco di talento che da Dio e dalle
mie fatiche mi è stato conceduto nella mia professione»
45.
È facile comprendere in quale estremo grado di
dolore lo ridusse Baldassar Capra: colui che dell’onore, della fama e della meritata gloria,
bene non ereditato, non dalla natura, non dalla sorte o dal caso, ma
da i nostri studii, dalle proprie fatiche, dalle lunghe vigilie contribuitoci,
con false imposture, con fraudolenti inganni e con temerarii usurpamenti
ci spoglia» .
Il Capra, dando alle stampe come parto del suo ingegno il Compasso geometrico
e militare, si era fatto autore dello strumento, praticamente tacciando
Galileo di usurpatore sfacciato, quel Galileo che solo un anno prima
aveva consacrato il compasso al nome del Serenissimo Principe di Toscana
suo Signore.
Ed ecco la sua
Difesa contro alle calunnie ed imposture di Baldessar
Capra, primo esempio della splendida e animata prosa galileiana;
efficace, polemica e, nello stesso tempo, lucida ed equilibrata; alcune
pagine sono un vero capolavoro che preannuncia
Il Saggiatore;
scritta a difesa e reintegrazione del suo onore contro chi aveva cercato
di presentare il Compasso come opera propria.
Questi episodi, che potrebbero essere ritenuti secondari,
si svolgono in un momento molto delicato della vita di Galileo e gli
avvenimenti
che li precedono e li seguono sono in varie maniere collegati a questi
scritti e allo strumento che vi è illustrato.
Non è agevole intuire la psicologia di Galileo (a cui alcuni
attribuiscono un carattere aggressivo), se non si tengono presenti le
difficoltà economiche che pesarono su di lui per quasi mezzo secolo.
Occorre partire da lontano, dalla morte del padre
46.
Se vi è un episodio nella sua vita in cui gli aspetti economici
hanno certamente pesato più di quelli scientifici, questo fu il
partito preso da Galileo di abbandonare Pisa per la Lettura di Padova,
e tale decisione fu certamente dovuta alle necessità della famiglia
a cui egli, primogenito, doveva provvedere.
Il Favaro che racconta con molta accuratezza le circostanze della sua
andata a Padova
47, incorre in un
errore di una certa rilevanza, perché ritiene che Galileo avesse
accettato uno stipendio assai poco superiore a quello percepito a Pisa:
ebbe così una ragione di più per ritenere fondati quei
motivi dell'andata a Padova, che furono raccontati dai primi biografi
di Galileo, il Viviani e l’Arrighini.
Diamo subito alcune informazioni. Nei rotoli dello
Studio di Pisa per gli anni 1589 e 1590 si legge che a Galileo erano
stati assegnati fiorini
60, e gli estratti dai libri di cassa degli anni 1589-1592 riportano
« a Mess. Galileo Galilei ducati sessanta di moneta
48
».Quindi Galileo guadagnava a Pisa 420 lire fiorentine
49.
Non è inutile ricordare che nel rotolo del 1589-90 vengono nominati
in tutto 41 professori; di essi ben dieci ricevettero solo 45 ducati
di stipendio annuo, mentre la retribuzione massima fu quella dei due
professori di diritto civile: quello che insegnava di mattina aveva 650
ducati, quello che insegnava nel pomeriggio riceveva 600 ducati. Per
un giovane al primo insegnamento non era perciò trascurabile uno
stipendio di 60 ducati, soprattutto se poteva integrarli con i proventi
delle lezioni private.
Siamo però sempre ai valori più bassi delle retribuzioni:
a Firenze in quegli anni un muratore guadagnava due lire al giorno, cioè da
80 a 90 ducati l’anno, la metà i manovali e i braccianti agricoli.
A Padova Galileo ricevette nella sua prima condotta 180 fiorini, equivalenti
a 900 lire veneziane
50, il doppio
rispetto a Pisa.
Si ingannò il Favaro nello stimare il valore della lira veneziana
metà di quella fiorentina; in realtà la lira veneta e quella
fiorentina sono due monete di conto, cioè fittizie, che vennero
utilizzate per secoli nella pratica commerciale e nella contabilità ,
per regolare il valore delle monete in proporzione alla quantità d’oro
e d’argento contenuto e in funzione del valore relativo dei due metalli.
Dato che alle monete veneziane e fiorentine contenenti la stessa quantità d’oro
o d’argento veniva assegnato lo stesso valore in lire, le due monete
di conto hanno mantenuto per lungo tempo approssimativamente lo stesso
valore
51.
È facile ravvisare dai documenti pervenuti che
le ragioni per cui Galileo lasciò Pisa furono essenzialmente economiche, e che i motivi riportati
dal Viviani e dal Gherardini non sono quelli che pesarono di più :
i loro racconti sembrano fatti apposta per nascondere il reale fattore
economico, a cui nessuno dei due biografi accenna neanche di sfuggita.
È una ipotesi non troppo azzardata supporre che
il contenuto dei loro racconti risalga allo stesso Galileo: poteva
il matematico e filosofo
del Granduca senza imbarazzo confessare che per pochi ducati Ferdinando
si era lasciato sfuggire un ottimo professore, che avrebbe potuto portare
gran lustro all’università di Pisa? La ragionevolezza di questa
ipotesi può trovare un fondamento nella delicatezza e nell’attenzione
che Galileo sempre tenne nei rapporti con i Medici, di cui non dimenticò mai
di essere suddito.
Il Viviani narra che molti filosofastri suoi emuli, fomentati
da invidia, se gli eccitarono contro;
« e servendosi di strumento per atterrarlo
del giudizio dato da esso sopra una tal macchina d’invenzione d’un eminente
soggetto, proposta per votar la darsina di Livorno, alla quale il Galileo
con fondamenti meccanici e con libertà filosofica aveva fatto
pronostico di mal evento (come in effetto seguì ) seppero con
maligne impressioni provocargli l’odio di quel gran personaggio; ond’egli
rivolgendo l’animo suo all’offerte che più volte gl’erano state
fatte della cattedra di Padova, che per morte di Gioseppe Moleti stette
gran tempo vacante, per consiglio e con l’indirizzo del Sig.r Marchese
Guidubaldo s’elesse con buona grazia del Ser.mo Gran Duca di mutar clima
avanti che i suoi avversari avessero a godere del suo precipizio
52».
Sta di fatto che la scontentezza di Galileo si era
manifestata subito. Guidobaldo del Monte, che si era adoperato per
fargli avere la Lettura
di Pisa, scriveva a Galileo il 10 aprile del 1590:
«la vorrei
vedere più contenta e meglio trattata, secondo li meriti suoi.
Io non ho avuto per ancora nuov’alcuna da Venetia; ma io cercarò di
saper qualche cosa e non mancherò di avvisargliene.» .
Galileo quindi a metà del suo primo anno di insegnamento stava
già cercando di spostarsi. Guidobaldo all’inizio del secondo anno
accademico chiede:
«
Una delle cose che io desideravo di sapere è se
V.S. ha mai avuto accrescimo di provisione, che questo vorrei che fusse
secondo il mio desiderio et il merito suo» . Infine abbiamo un’altro
intervento sull’argomento il 21 febbraio 1592:
«
Mi dispiace ancora
di vedere che V.S. non sia trattata second’i meriti suoi e molto più mi
dispiace che ella non habbi buona speranza. Et s’ella vorrà andar
a Venetia questa state, io l’invito a passar di qua, che non mancarò dal
canto mio di far ogni opera per aiutarla e servirla; che certo io non
la posso veder in questo modo. Le mie forze sono deboli, ma, come saranno,
io le spenderò tutte in suo servitio
53».
Dunque le preoccupazioni di Galileo erano allora
di ordine economico. Se le difficoltà fossero state quelle supposte dai suoi primi
biografi (invidie accademiche e l’ostilità di Giovanni de’ Medici),
Guidobaldo avrebbe potuto tentare di rimediare, giacché era tenuto
in grandissima stima in casa Medici. Più difficile era fargli
avere un forte aumento (cioè trattarlo secondo il suo merito)
e procurargli eventualmente lezioni private ben remunerate, quali Galileo
poteva invece sperare di ottenere a Padova, ove la cattedra era libera.
Il marchese, ormai suo ammiratore, aveva studiato a Padova e nella Repubblica
aveva amici influenti; per contro
54 quali
altri appoggi aveva a Firenze Galileo?
Galileo a fine agosto del ’92 andò a Venezia
e Giovan Battista Pinelli, influente amico del Marchese Guidobaldo,
in pochi giorni fu
in grado di ottenere per lui il posto di Lettore delle Matematiche, che
era vacante dal 1588 per la morte di Giuseppe Moletti
55:
«
mi ha detto che darà alla S.V. li 200 fiorini senz’altro, et sarà costì domani
o l’altro senza fallo; si che la S.V. ne potrà star sull’aviso,
et subito al suo arrivo andarlo a ritrovar, per ringraziarlo del suo
buon animo et così far instanza per la spedizione
56».
La persona a cui Pinelli si riferiva
in questa lettera del 9 settembre era il procuratore Giovanni Michiel,
uno dei tre Riformatori dello Studio: Galileo doveva sollecitargli la
spedizione del decreto, che fu emesso il 26 dello stesso mese.
Galileo, ormai sicuro della nomina, fece arrivare
a Ferdinando de’ Medici la notizia della sua chiamata a Padova attraverso
Giovanni Uguccioni.
Ne abbiamo notizia da una lettera che il Residente di Toscana a Venezia
scrisse a Belisario Vinta il 15 settembre 1592:
« Sono in Padova,
e sono venutoci con Mess. Galileo Galilei, che legge la Matematica in
Pisa; quale quindici giorni fa venne per vedere Venetia, et in tanto
hieri in carrozza, in discorrendo meco, mi disse che in Venetia era stato
ricerco di leggere in Padova, e che crede che harebbe 200 scudi incirca
di salario l'anno e che ha risposto che, sendo al servitio del Gran Duca,
non può risolvere cosa nessuna, onde credo che se ne venga a cotesta
per trattare di questo negotio con S.A.S.» .
Il Granduca prese atto di questa offerta, che per
l’equivoco dei fiorini trasformati in ugual numero di ducati sembrava
triplicare lo stipendio,
e non trattenne Galileo, dandogli facoltà di lasciare lo studio
pisano, decisione ancor più comprensibile se è vero che
il giovane professore era malvisto da alcuni colleghi e da Giovanni de’
Medici.
Ma a Padova la situazione economica non fu mai del
tutto soddisfacente e Galileo, per tirare avanti, si vide costretto
a seguire il tradizionale
sistema delle lezioni private. Per alcuni anni, fin quando le forze giovanili
lo sorressero, riuscì a trovare anche il tempo per le sue ricerche
e per i suoi studi, ma non quanto ne avrebbe avuto bisogno.
Tra le cause delle sue difficoltà vi è certamente
il continuo aumento del costo della vita: accenniamo qui solo di sfuggita
al fenomeno
della cosidetta
rivoluzione dei prezzi che si ebbe in tutti i
paesi europei nella seconda metà del cinquecento con l’inizio
di un movimento inflazionistico, che ebbe il suo acme nel periodo 1590-1610,
con forti rincari del costo della vita.
Se in tutti gli stati vi furono turbamenti e malessere
economico, le difficoltà di Venezia furono anche maggiori. La Repubblica era
ormai entrata in una crisi profonda: prima l’incendio dell’Arsenale (1569),
poi la crisi del commercio per la guerra contro i turchi che si concluse
con la perdita di Cipro (1571), poi la peste del 1575, che spopolerà l’università di
Padova
57, e infine nel 1606 l’interdetto
di Paolo V.
A Firenze invece, morto Francesco de’ Medici, la
nuova politica granducale sembrava annunciare un periodo di prosperità economica.
Malgrado tutto, Galileo poté far fronte alle
strettezze incrementando le sue entrate con le lezioni private e con
gli studenti che aveva, a
dozzina, in casa sua
58. Lo scienziato
aveva anche avviato una discreta produzione di strumenti scientifici:
faceva fabbricare da un bravo meccanico non solo i suoi compassi geometrici,
ma anche bussole, strumenti da disegno e persino bilance. Il compasso
per lo più veniva dato da lui ai suoi studenti praticamente a
prezzo di costo; dai più abbienti spesso riceveva in cambio ricchi
doni.
Per contro Galileo dovette affrontare in quegli
anni il peso della sistemazione matrimoniale della sorella Livia, come
prima aveva fatto per Virginia;
così nel 1601 si impegnò gravosamente per la sua dote:
800 ducati subito e 200 ducati all’anno per cinque anni. Fu costretto
anche a soccorrere più volte economicamente il fratello Michelangelo.
Doveva inoltre pensare alla madre a Firenze, e alla famiglia naturale
che era sorta dalla relazione amorosa con Marina Gamba: la primogenita
era nata nel 1600; a distanza di un anno la seconda; infine nel 1606
Vincenzio, l’unico figlio che Galileo potè riconoscere.
A Padova e a Venezia, ove spesso si recava, Galileo,
con la sua personalità affascinante
e il suo carattere socievole, non aveva avuto difficoltà a sviluppare
una ampia rete di relazioni, che coinvolgeva conoscenti e amici colti
e facoltosi, e che richiedeva un tenore di vita notevolmente dispendioso.
Lo Studio di Padova era il proprio domicilio del suo ingegno» gli
aveva scritto dieci anni prima Girolamo Mercuriale
59.
Galileo però non era soddisfatto della situazione economica, che
aveva una immediata ripercussione sulla sua produzione scientifica: godeva, è vero,
di notorietà di livello internazionale per la sua attività di
professore e per la corrispondenza che manteneva con molti scienziati
e personalità ; ma le lezioni private e gli scolari che teneva
in casa erano di impedimento o di ritardo ai suoi studi
60.
Già da tempo aveva iniziato a lavorare su alcuni dei temi intorno
a cui costruirà i due grandi capolavori della sua tarda maturità ,
ma teneva celati i risultati.
Aborriva la servitù meretricia di dover esporre le sue fatiche
al prezzo arbitrario di ogni avventore. Desiderava portare a termine
le opere che aveva intrapreso, con tutto ciò
« nè anco
la libertà che ho qui mi basta, bisognandomi a richiesta di questo
e di quello consumar diverse hore del giorno, et bene spesso le migliori.
Si trovava ad avere diverse invenzioni et molte più ne
troverei, quando havessi più otio et più comodità di
artefici, dell’opera de i quali mi potessi per diverse esperienze prevalere
61 » .
E Galileo mirò a ritornare
al servizio del Granduca di Toscana, perché simili comodità non
poteva ottenerle solo da un principe assoluto.
Si arrivò ad un episodio estremamente sgradevole, a cui abbiamo
già accennato. Fin dal 27 settembre del 1604 era terminata la
seconda condotta di Galileo nella Lettura delle Matematiche a Padova
62.
Galileo non riusciva a farsi riconfermare con un congruo aumento. Pochi
mesi prima Vincenzo Gonzaga da Mantova gli aveva fatto dire di volerlo
al suo servizio, proponendogli 300 ducati all’anno e la
spesa per
lui e per un servitore. Galileo
63 aveva
fatto conoscere le sue pretese: 500 ducati e tre spese. Il Serenissimo
Duca di Mantova, che due anni prima aveva voluto sentire da Galileo la
spiegazione dello strumento, e gli aveva poi donato una collana e una
medaglia con la sua effigie
64,
dovette rinunciare:
« essendo giusto che ella goda di quella libertà che
ha di procurar il suo commodo
65» .
Favaro
66 ritiene che Galileo prestò orecchio
a quelle proposte soprattutto per servirsene al fine di ottenere un miglioramento
di condizioni, nella occasione della nuova ricondotta.
Soltanto il 5 agosto 1606 - circa un mese dopo aver avuto la licenza
di stampare il
Compasso - giungeva la sospirata riconferma nella
Lettura, per altri sei anni (come al solito), ma con un aumento di stipendio
di duecento fiorini, merito anche delle raccomandazioni del Granduca
67: Galileo aveva iniziato con 180 fiorini
nel 1592; era passato a 320 nel 1598 e adesso giungeva a 520 fiorini.
Abbiamo avuto modo di illustrare quanto valesse
in moneta corrente lo stipendio di Galileo; sta di fatto che non gli
era sufficiente, nonostante
i periodici incrementi che abbiamo ricordato. Nel 1601 il suo amico Girolamo
Mercuriale gli aveva dato un suggerimento prezioso: l’essorto
in tutt’i modi ad esporsi di venire, perché
«il S.r Prencipe
68 havrà passati gli dodici anni, et tengo
certo serà capace di tutte quelle cose matematiche che V.E. gli
saprà mostrare; et sappi certo che quel figliuolo ha un felicissimo
ingegno e memoria, et sopra il tutto è il più curioso cervello
che si possa immaginare: onde credo havrà occasione V.E. di essercitare
il suo talento, et chi sa anco che non possa essere qualche sua buona
fortuna. Però torno a dirgli che in tutt’i modi veda di finire
quel suo instrumento geometrico e militare, acciò possa lei medesima
portarlo il seguente anno per San Gioanni a Firenze, dove serò ancor
io: et fra tanto con la prima occasione farò quel’ufficio che
si deve con le loro AA.SS.me; et se V.E volesse mandarmi un breve ritratto
di quello che fa per il S.r Prencipe, con l’uso et utilità sue,
lo mostrarei alle loro AA., et so certo che il Prencipe ne prenderebbe
diletation
69».
Non è difficile capire la situazione in cui si trovava Galileo:
aveva progetti ambiziosi, giustificati da molti risultati importanti
teorici e sperimentali ormai acquisiti, e quindi aveva bisogno di poter
dedicare tutto il suo tempo allo studio ma, come dirà
«ottenere da una Repubblica, benché splendida et generosa, stipendii
senza servire al publico non si costuma, [...] in somma simile comodità non
posso io sperare da altri, che da un principe assoluto...»
70.
Con le sue ricerche aveva raccolto materiale sufficiente per scrivere
tre opere
71, di cui già aveva
deciso il titolo: due libri
De sistemate seu constitutione universi
«concetto immenso et pieno di filosofia, astronomia, et geometria» (diverrà venti
anni dopo il
Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo),
tre libri
De motu locali (inclusi poi nei
Discorsi e dimostrazioni
matematiche intorno a due nuove scienza) a cui Galileo attribuisce
fin d’allora grandissima importanza chiamando il contenuto scienza
interamente nuova,« non havendo alcun altro, nè antico nè moderno,
scoperto alcuno de i moltissimi sintomi ammirandi, che io dimostro essere
ne i movimenti naturali et nei violenti, onde io la posso ragionevolissimamente
chiamare scienza nuova et ritrovata da me sin da i suoi primi principi»
ed infine tre libri delle
Mecaniche.
Galileo doveva ottenere il favore, anzi la familiarità del
Granduca. Quattro anni dopo Mercuriale, Vincenzo Giugni gli scrive
72:
«
Et sentendoli lodare il vostro instrumento, et con quanta prestezza e’
si può rendere utile a’ principi et a’ particolari, mi è parso
farne passata con Madama Ser.ma nostra Padrona, dicendoli nel meglio
modo che ho saputo, la volontà di V.S. essere d’indirizzare detto
instrumento et ragion d’esso all’Altezza del Principe nostro; et ho ancora
detto di più , che potrebbe fare risolutione di passare qua per
questa state per passare le vacanze et fuggire i caldi et rendersi pronto
a mostrare al Gran Principe di quant’utilità sia il suo instrumento:
la qual Madama m’ha risposto che sia indiritto al Gran Principe, et che
passando qua sarà visto come meritano le sue virtù . Però venga
allegramente, chè sarà ben vista» .
Per valutare questa lettera basta sapere che fin
dal 28 ottobre 1604 era arrivato da Galileo il figlio del Giugni, Niccolò ,
per rimanervi a dozzina. Costui fece ritorno a Firenze nell’aprile
dell’anno seguente.
Fu lui a lodare il compasso e il suo maestro presso il padre e, dietro
suggerimento di Galileo ormai deciso a pubblicare il
Compasso,
a far chiedere dal padre l’assenso per la dedica a Cosimo.
Il 15 agosto 1605 Galileo viene ufficialmente invitato:
« Desidera
Madama Ser.ma la venuta di V.S. qua, sì per il virtuoso trattenimento
del Ser.mo Principe, come anco per l’acquisto della sanità di
lei in questa felicissima aria di Pratolino
73» .
I primi risultati non furono molto incoraggianti all’inizio, se il precettore
del principe Cosimo gli scrive alla fine di quell’anno:
«
Circa i studii del Ser.mo Principe nostro, de’ quali desidera che io le dia
conto, se ella intende delle mattematiche, posso dirle assolutamente
che dalla partita di V.S. di Fiorenza in qua, non ha pur visto, non che
operato, mai l’Istrumento, non perché la scienza non piaccia molto
a S.Altezza, ma parte perché non vi è chi si ricordi così bene
le operazioni, et parte perché la Corte è andata continuvamente
innanzi et indietro, senza altri diversi impedimenti che vi sono stati;
ma come saremo in Pisa, si farà intorno a ciò , al sicuro,
qualche cosa. Intanto ella mettarà mano, et forse finirà di
stampare il libro, che servirà al Sig.r Principe per un gran stimolo,
non che per memoriale
74».
La simpatia e l’apprezzamento del Granduca si manifestarono subito.
Intervenne efficacemente
75 per
sollevare Galileo da ciò che lo angustiava allora: il ritardo
nella riconferma alla Lettura delle Matematiche.
Per Galileo le parole di Ferdinando I (che gli vennero
puntualmente riportate), furono certo una conferma della intravista
possibilità del
suo non lontano ritorno definitivo a Firenze:
«
molto volentieri
vogliamo aiutare il Galileo perché è virtuoso; però di’
al Vinta, che in su la lettera che noi scriviamo al Residente, dica che
lo raccomandi efficacissimamente
76».
Il Vinta tre anni più tardi, gli riferiva le parole di Cristina
di Lorena:
«
Scrivi al Galileo che essendo egli il primo e il più pregiato
matematico della Christianità , che il Granduca e Noi desideriamo
che questa estate venga qua, ancorchè gli sia per essere d’incomodo,
per esercitare il S.r Principe nostro figliuolo in dette matematiche,
che tanto se ne diletta
77».
Puntò tutto sul
Compasso geometrico. Di finito e di meglio
allora non aveva che quello. Gli altri scritti erano infatti di minore
importanza: accanto ad alcuni opuscoli andati perduti, aveva scritto
una
Breve istruzione all’architettura militare, un
Trattato
di fortificazione78 e un testo, che utilizzava forse per le sue
lezioni,
Le Mecaniche79.
Le Mecaniche erano un'opera che le sue ricerche avevano ormai
reso superata; quanto al
Trattato di fortificazioni, anche se
sappiamo che Galileo aveva avuto in mente di scrivere alcuni libri attinenti
al soldato, niente fa supporre che abbia mai pensato di pubblicare il
testo nella forma in cui è giunto a noi: esso non regge al confronto
con i testi coevi, scritti da ingegneri militari di grande esperienza,
ai quali certamente aveva fatto ricorso per documentarsi
80.
Il Compasso invece aveva avuto un grande successo;
Galileo calcolava di averne fatto fabbricare più di 100, che erano stati venduti
o donati a Principi e Signori di diverse nazioni, lo strumento era ormai
stato portato in tutta l’Europa dai suoi scolari, spesso unito a scritture
che dichiaravano il modo di usarlo. Galileo puntò tutto sul Compasso.
Abbiamo già accennato con le stesse parole di Galileo alla sua
necessità di avere più tempo disponibile per le sue ricerche
e per il compimento dei grandi lavori già ben avviati, ma un altro
motivo d’ordine scientifico, di cui Galileo non parla, deve certamente
aver pesato assai nella determinazione di lasciare l’università di
Padova: il desiderio di portare avanti la diffusione di quella nuova
teoria cosmologica di cui egli era ormai convinto assertore, e su cui
stava scrivendo un libro, per il quale aveva già deciso il titolo
De
sistemate, seu constitutione universi.
Un proposta che allora non era solo scientifica,
ma anche ideologica; un'opera di divulgazione che avrebbe avuto contro
non solo tutti i peripatetici,
così potenti in molte università , ma anche gran parte
dei teologi; un'idea che in piena restaurazione cattolica poteva essere
ritenuta stravagante ed erronea.
Galileo voleva che le teoria copernicana fosse accettata
dalla gerarchia ecclesiastica; ma non avrebbe potuto ottenere la neutralità della
Curia rimanendo nella Venezia dell'interdetto, nella cerchia di Paolo
Sarpi e di Gianfrancesco Sagredo, nella repubblica che aveva cacciato
i gesuiti dallo stato.
I Medici invece erano strettamente legati alla Chiesa,
Paolo V era toscano, Galileo aveva buoni rapporti con l’influentissimo
padre Clavio, il più profondo
conoscitore della matematica e dell'astronomia che avesse l'Ordine di
S.Ignazio.
Anche per questo motivo era arrivato il tempo di
tornare in Toscana; soltanto di lì poteva allontanare la malignità dei nemici,
falsamente ammantati di zelo e di carità , non più semplice
professore, ma eminente scienziato e cortigiano amato dal suo principe.
La pressione a ritornare in patria viene dunque
prodotta da molteplici esigenze scientifiche ed economiche, tra cui è difficile identificare
quella che operò con maggior forza.
Abbiamo cercato fin qui di mostrare quanto fu importante il compasso,
sia lo strumento che il suo manuale, nella realizzazione delle speranze
di Galileo. Certo il grande scienziato non poteva immaginare che avrebbe
avuto ben presto la sorte di costruire il telescopio e di fare sconvolgenti
scoperte nei cieli.
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