Fondazione Galileo Galilei
Roberto Vergara Caffarelli
1.Originalità dell'invenzione
2. Valore scientifico del compasso
3. Utilizzazione economica

1. Originalità dell’invenzione

La presentazione di questi brevi trattati1 tra cui vi sono i primi due dati alle stampe da Galileo, offre l'occasione per alcune considerazioni, che possono essere raggruppate da un punto di vista logico in tre sezioni: il primo passo da compiere è l’esame della originalità dell'invenzione del compasso; solo dopo è opportuno discutere del valore scientifico dell’invenzione; infine è interessante mettere in evidenza un altro aspetto che, essendo abbastanza complesso, siamo costretti a sintetizzare con l'indicazione generica della utilizzazione economica.

Seguendo l’ordine dato a questa introduzione, esamineremo prima di tutto il problema dell’originalità .

Il compasso fu assai importante per Galileo, e non ci si deve meravigliare per l'acre e puntigliosa protesta contro il plagio fatto da Baldassarre Capra con il suo Usus et fabrica circini che porterà alla soppressione di quasi tutte le copie di quel libro2 e alla redazione della Difesa.

Dato che vi fu un’indagine ufficiale che si concluse con una sentenza a favore, è strano che debbano esistere dubbi sull’attribuzione del compasso geometrico a Galileo. In realtà la sentenza riguarda il libro plagiato, e solo indirettamente lo strumento. Inoltre, come capita spesso quando si studia la storia di un'invenzione, anche per il compasso vi sono molteplici attribuzioni, perché vi sono scritture precedenti e perché sono stati trovati antichi compassi, con scale graduate che sono presenti anche nel compasso di Galileo.

Quasi tutte le invenzioni galileiane sono state messe in discussione: così è stato per l’applicazione del pendolo all’orologio, così per il termoscopio e per il microscopio.

Esemplare è ciò che avvenne dopo le scoperte fatte con il cannocchiale: non a caso Galileo per questa invenzione fu paragonato a Cristoforo Colombo, un altro contestato scopritore3.

Una osservazione in proposito: se venisse provato che Galileo realizzò il compasso dopo che gli era pervenuta notizia della sua esistenza e del suo uso, non per questo le rivendicazioni e le difese che egli presentò dovrebbero essere giudicate insincere, perché sarebbero state coerenti con il significato che egli dava alla parola invenzione.

Ricordate infatti che cosa Galileo racconta circa l'invenzione del cannocchiale? Gli era giunta notizia che un certo fiammingo aveva fabbricato un occhiale con il quale si potevano vedere come se fossero vicini gli oggetti lontani. Egli fu spinto a ricercarne le ragioni e a escogitare i mezzi per giungere all’invenzione di uno strumento siffatto: « quod tandem in causa fuit, ut ad rationes inquirendas, necnon media excogitanda, per quae ad consimilis Organi inventionem devenirem me totum converterem4 ». Anche per il cannocchiale parlò diinvenzione.

Sentiamo come Galileo racconta, a distanza di sedici anni, le circostanze del plagio: « Ma non voglio già più lungamente tacere il furto secondo5, che con troppa audacia mi ha voluto fare quell’istesso che già molti anni sono mi fece l’altro, d’appropriarsi l’invenzione del mio Compasso Geometrico, ancor ch’io molti anni innanzi l’avessi a gran numero di Signori mostrato e conferito, e finalmente fatto pubblico colle stampe: e siami per questa volta perdonato se, contro alla mia natura, contro al costume ed intenzion mia, forse troppo acerbamente mi risento ed esclamo colà dove per molti anni ho taciuto. Io parlo di Simon Mario Guntzehusano, che fu quello che già in Padova, dove allora io mi trovava, trasportò in lingua latina l’uso del detto mio Compasso, ed attribuendoselo lo fece ad un suo discepolo sotto suo nome stampare, e subito, forse per fuggir il castigo, se n’andò alla patria sua, lasciando il suo scolare, come si dice, nelle peste; contro il quale mi fu forza, in assenza di Simon Mario, proceder nella maniera ch’è manifesto nella Difesa ch’allora feci e publicai » .

Poiché la dedica del Usus et fabrica circini al Margravio di Ansbach-Brandenburg porta la data del 7 marzo 1607, mentre la dedica del Compasso a Cosimo è datata 10 luglio 1606, sappiamo che Baldassarre Capra ebbe al massimo otto mesi di tempo per portare a termine il plagio. Non si può escludere però l’esistenza di un precedente abbozzo di traduzione, fatta utilizzando una delle scritture manoscritte che Galileo distribuiva ai suoi studenti.

Galileo, fin dall’introduzione al Compasso6, aveva affrontato l'argomento " priorità " adducendo a motivo dell'edizione privata in 60 esemplari la necessità di assicurarsi, con la testimonianza delle stampe, la paternità dell’invenzione del compasso. Per conseguire tal fine fa stampare a proprie spese alcuni esemplari, per farne dono, insieme allo strumento, al giovane principe di Toscana, a cui è dedicato, e ad altri Signori7.

Nel memoriale del 9 aprile 1607, con il ricorso contro il Capra, indirizzato ai Riformatori dello Studio di Padova, a cui era affidato anche l’ufficio della censura in materia di stampa, Galileo conferma quanto già aveva scritto nel Compasso: essendogli « pervenuto qualche sentore che altri si sarebbe appropriata la mia invenzione, quando non vi havessi fatto provvedimento, mi risolvei fare stampare in Padova alcune copie [...] per tagliare la strada a quelli che volessero attribuirsi le mie fatiche8 ».

Non è possibile precisare chi erano questi altri; ricordiamo solo che nella Difesa Galileo nomina il tedesco Giovanni Eutel Zugmesser come la persona che verso il 1603 era apparsa in Padova « con uno strumento nel quale aveva trasportate alcune linee cavate dal mio, ed altre tralasciatene, ed in luogo di quelle aggiuntevene alcune altre9 ».

In quell’occasione i suoi emuli e il suo antico avversario, così dice forse alludendo al Capra e a Simon Mayr, vollero insinuare che egli avesse potuto copiare dallo straniero. Per togliersi di dosso queste malignità Galileo dovette arrivare ad un confronto in casa di Giacomo Alvise Cornaro e, alla presenza di molti gentiluomini, finalmente riuscì a far intendere ai convenuti che era lo Zugmesser che aveva preso l’idea da lui. Lo Zugmesser divenne matematico dell’arcivescovo Ernesto, Elettore di Colonia e fu incontrato più volte nel 1610 da Martino Hasdale, che lo trovò assai ostile a Galileo perché riteneva di essere stato gravemente offeso nel libro contro il Capra10.

L’Hasdale riportò a Galileo che il "Matematico di Colonia" aveva detto «che V.S., in presenza del S.r Cornaro, confessò che lo stromento di lui fosse migliore del suo, e inoltre che nello stromento di V.S. ci era un mancamento che non era nel suo11»..

Però queste affermazioni rimasero del tutto screditate perché , trovandosi a Colonia uno dei testimoni di Padova, Pompeo de’ Conti da Pannichi12, e volendo l’Hasdale istituire un confronto davanti all’Elettore, lo Zugmesser « sempre andò fuggendo la scrima di abboccarsi seco » .

È opportuno approfondire questo primo episodio di contestazione dell’invenzione: infatti occorre sottolineare che lo Zugmesser, a parte alcune lamentele verbali, non reagì alle affermazioni di Galileo, che pur circolavano stampate, e neppure cercò di indicare altre origini allo strumento.

Galileo così aveva scritto di lui: « cinque anni sono fu in Padova, e lasciò vedere uno strumento in gran parte cavato dal mio, nel partirsi di qua lasciò all’Illustre Sig. Michele Victor di Vustrou di Bransvich [...] alcuni pochi scritti attinenti alla fabrica e ad alcuni usi del detto strumento, li quali scritti passorno poi dal detto Signore in mano di M. Gasparo Pignani, esquisitissimo fabricator di ogni sorte di strumento matematico e dell’istessa scienza non vulgarmente intendente; i quali scritti, avendone egli ad altri fatto copia, è necessario che siano venuti in mano del Capra. [...] In oltre non voglio tacere, come in questi scritti, oltre a mancarvi moltissime operazioni, vi manca ancora interamente la descrizione e gli usi delle linee, che io chiamo Aggiunte [...]; vi mancano interamente le Linee Poligrafiche, al modo che le pongo io, la Squadra da bombardieri usata al modo mio, la divisione per misurar le pendenze e la divisione del Quadrante per misurar con la vista: in oltre dal nominarmi che fa il detto Fiammingo più volte in questi brevissimi scritti si vede come egli aveva vedute le scritture mie, benché non ancora stampate, e, con migliore e più civil creanza di quella del Capra non aveva procurato di asconder questa verità13 » .

Insomma è abbastanza evidente che il "Fiammingo" (come sempre viene chiamato da Galileo lo Zugmesser) aveva solo modificato o, in certi casi, cercato di completare lo strumento galileiano14.

Un commento a conclusione dell’argomento "Zugmesser": Galileo al Capra aveva potuto contestare soprattutto il plagio dello scritto, perché il suo avversario si era mantenuto abbastanza nel vago su chi avesse inventato lo strumento. Nell’introduzione, per esempio, il Capra afferma che, mentre altri disputano dell’invenzione e ne fanno copie ad alto prezzo, egli ha deciso di divulgare l’uso e la costruzione di esso per la pubblica utilità di tutti gli studiosi. È vero che Galileo trova nel libro molte espressioni ambigue che possono convincere il lettore che il Capra pretende per sè l’invenzione dello strumento, ma in concreto nella discussione davanti ai Riformatori l’accusato, che non è in grado di esibire un solo esemplare del suo strumento, non osa neppure sostenere di averne mai costruito uno.

Nel caso dello Zugmesser invece lo strumento c’era e Galileo è costretto a contestarne l'invenzione e fa ciò senza nessuna esitazione.

Che Galileo fosse l’inventore del compasso lo credevano Paolo Sarpi, Gianfrancesco Sagredo, Giacomo Alvise Cornaro e Giacomo Badouè re, che rilasciarono dichiarazioni a suo favore, e certamente lo credevano anche quelli che Galileo avrebbe desiderato presenti a Venezia:« a me non manchino infiniti testimoni, dalla deposizion dei quali io pienissimamente posso far constare alle SS.VV come l’opera della quale si tratta, non trovato moderno del Capra, ma è mia antica invenzione, la quale io non ho usurpato da altri15» .

Per i testimoni si veda la lettera che il Cornaro scrive a Galileo il 21 aprile 1607: « Io mo’ dubito che pochi di questo Studio siano per venire costa : onde direi, che saria bene di procurare un altro simile congresso qua in Padova, con l'intervento de’ Sig.ri Rettori della Città . Hieri parlai con il Pilan, il quale m’ha detto d’haver comperato il libro del Capra, et vedutolo diligentemente, trova ch’esso ha rubato da V.S., dal Magini, et da quel tale Tedesco, o Fiammingo, et che non vi è cosa di suo: onde non si può dir a bastanza della sfacciataggine di quel giovane prosontuosissimo16» .

Non è il caso di riportare adesso tutte le vibranti affermazioni di paternità che possono essere facilmente trovate nella Difesa, ma per la sua rilevanza è bene qui mettere in evidenza un passo ove per la prima volta appare la possibilità dell’esistenza di autori precedenti: « Ad alcuni [il Capra] va affermando quello, che egli ha stampato, esser opera del suo Maestro; ad altri predica, che questo Strumento è invenzione di Tico Brae, e per Padova comunemente va dicendo, che io ho presa questa invenzione da un libro per avanti stampato, e pubblicato in Germania in lingua Tedesca, il quale a confusion mia vuol far venire, e farlo vedere a tutti. [...] Verrà dunque il libro stampato in Alemagna, e per quanto intendo il Gromo ne sarà apportatore; ma bisognerà che il Capra sia di questo secondo miglior custode, che dell’altro, il quale già ebbe (che pur è forza, che egli altra volta l’abbia avuto, poiché fa, come in quello si contiene quanto io ho dato fuori per invenzion mia) per poterlo mostrare a chi non credesse alle sue semplici parole17» .

Nonostante l'ironia di Galileo che non crede all’esistenza del libro, il Capra in questo aveva ragione, perché uno con la data del 1604 era stato stampato da Levino Hulsio, un altro l’anno seguente da Filippo Horcher: da entrambi viene descritto, attribuendolo a Joost Burgi, un compasso di riduzione, che tuttavia è altra cosa che il compasso di Galileo.

A questo punto avendo fatto un primo nome, è necessario citare una serie di altri eventuali precursori o inventori: Nicolò Tartaglia con la sua squadra dei bombardieri, Fabrizio Mordente e il Commandino con i loro compassi, Guidobaldo del Monte, Michele Coignet18, e poi Thomas Hood e altri ancora.

Giovanbattista Venturi19 dice che l’Hulsio stampò a Francoforte in tedesco diversi opuscoli intorno ad alcuni strumenti geometrici; dei quali il terzo pubblicato nel 1607, ma annunziato e citato già sino dal 1603, contiene un trattato del compasso di proporzione di Giusto Birgio macchinista dell’Imperatore. Questo è il compasso del Commandino a centro mobile colle faccie piatte; una delle faccie porta 1.o la divisione in parti uguali della linea retta, 2.o della linea circolare. Nell'altra faccia sono 1.o proportiones homologorum planorum augendo vel diminuendo, cioè le linee geometriche del Galileo; 2.o proportiones homologorum corporum augendo vel diminuendo sono le stereometriche; 3.o il punto a cui è posto il centro, si ha dall’altra la periferia; 4.o i punti per trasformare i sei corpi regolari uno nell’altro, notati G,P,C,O,D,I, cioè Globus, Piramis, Cubus, Octaedrum, Dodecaedrum, Icosaedrum. Da ciò si vede che il Birgio non aveva già copiato il Galileo, ma partendo dal compasso del Commandino, ne avea fatto di testa sua diverse utili applicazioni, e tra queste alcune simili a quelle del Galileo. Nè già i principii dei due compassi sono molto diversi tra loro: Nella Figura V.o Tav 1.a EFGH rappresenta il compasso del Commandino e di Birgio; ABC esprime il Galileano. Ora dall’una banda EK:KF = EG:HF, e dall’altra AM:AB = MN:BC. Onde il fondamento geometrico del primo compasso è , si può dire, lo stesso con quello del secondo; se non che il principio del Galileano sembra più naturale e più semplice.

E convien pure che il compasso di proporzione con le sole due coppie di linee aritmetiche, e dei seni fattevi incidere da Guidubaldo fosse venuto in qualche uso, giacchè un simile istromento così semplice vien ricordato da Speckle nella sua architettura militare; e Clavio dice essersene veduti a Roma nel 1604; ed Henrion racconta che gli ne fu mostrato uno nel 1614.

Sussiste sempre, che, tranne forse le due prime coppie di linee, le aritmetiche cioè e le geometriche, le altre cinque coppie furono applicate nel compasso di centro fisso, di proprio ingegno dal Galileo. Il quadrante da lui aggiuntovi veniva già comunemente impiegato nel secolo XVI, esso non è che una derivazione di quelli che si costumavano da lungo tempo innanzi. I geometri concordamente riconoscono che il compasso di Galileo va soggetto a meno aberrazioni, e riesce d’un uso più pronto e più esteso, che non quello di «Birgio».

Non ci siamo tuttavia assegnati come tema lo studio delle relazioni di dipendenza storica o logica tra i vari strumenti matematici o misuratori, analoghi al compasso, proposti o costruiti nella seconda metà del cinquecento. Il quesito che ci siamo proposti e a cui vorremmo rispondere, è se Galileo ebbe notizia di un precedente strumento, da cui abbia tratto ispirazione, o se l'invenzione è completamente originale.

Il Favaro, per esempio, non crede a una totale indipendenza: «Non è improbabile che Galileo, il quale fu tanto intimo del Marchese Guidobaldo del Monte20, e che verosimilmente lo visitò anche in Pesaro, abbia avuto notizia di tale strumento, e certamente di analoghi egli ne vide che lo guidarono alla invenzione del proprio21» .

È necessario quindi discutere della possibilità che Guidobaldo abbia suggerito lo strumento a Galileo.

Esiste un numero sufficiente di documenti che sembrano escludere che Guidobaldo sia la prima fonte del compasso galileiano, o anche di una rudimentale versione di esso. Guidobaldo sapeva che Galileo aveva costruito il compasso perché suo figlio Orazio ne possedeva un «esemplare22» . Qualcuno ha detto che Guidobaldo, da gran signore, non si preoccupò di rivendicare l’invenzione. Ma pensiamo a Galileo: non avrebbe dovuto sentirsi imbarazzato verso chi lo aveva tanto aiutato?

Invece non vi fu mai ombra alcuna tra loro e i legami tra Galileo e la famiglia del marchese rimasero strettissimi, anche dopo la morte di Guidobaldo. Il figlio Alessandro così gli scrive l’8 gennaio 1607: « Essendo che V.S. sia stato sempre di tanto affetto verso la persona del S.r Guid’Ubaldo mio padre, non posso restare, ancorchè con infinito mio dolore, avvisarla [...] che hieri l’altro, giorno dell’Epiphania, alle 20 hore et un quarto, se n’è passato da questa all’altra vita migliore [...] avendo lei perduto chi amava tanto V.S., si compiaccia compatire al dolore del caso successo e ricevere me con gl’altri miei fratelli, che in suo loco siamo succeduti, per suoi servitori d’affetti se non d’effetti, che pareggino i meriti di V.S. e lo amore con che l'osservava il sud.o Sig.r nostro padre23» .

Infine il 15 giugno 1610 Orazio del Monte scrive: « Aspettamo qual cosa sopra l’istromento suo geometrico, perché nelli libretti V.S.Ecc.ma promette un giorno far vedere cose di più24» . Quindi Orazio aveva sia il rarissimo Compasso, sia la Difesa.

In questa lettera, a Galileo viene chiesto di cercare un buon stampatore a Padova, perché Orazio dal Monte vorrebbe pubblicare alcune opere del padre: tra queste un’opera che riguarda «la fabrica di alcuni istromenti ritrovati da lui, delle quali tutte cose vi sono le figure intagliate» .

È difficile accettare che Orazio, che possedeva e apprezzava il compasso di Galileo, non sapesse se il padre molti anni prima ne aveva fatto costruire uno simile. È ancora più difficile immaginare che, essendogli noto che la prima idea del compasso risaliva al padre, Orazio affidasse gli scritti sugli strumenti a chi aveva utilizzato per sè una idea che ebbe così grande successo, senza neppure riconoscere a Guidobaldo il dovuto merito.

Favaro, pur conoscendo tutto ciò , davanti alle contestazioni che sorgevano anche ai suoi tempi sulla priorità dell’invenzione, affermò : « a torto da taluni fu detto che Galileo è l’inventore del Compasso di Proporzione25» , in quanto è lo stesso Galilei che riconosce che « prima del suo altri consimili strumenti erano stati costruiti e correvano per le mani degli studiosi» .

A prova delle sue affermazioni il Favaro riporta una frase del Compasso, tratta dall’introduzione Ai discreti lettori: «Quello, che io abbia con questa mia opera conseguito, non lo dirò io ma lo lascierò giudicare a quelli, che da me sin qui l’hanno appresa, o per l’avvenire l’apprenderanno, e in particolare da chi avrà veduti gli strumenti degli altri in simili propositi ritrovati; benchè la più gran parte dell’invenzioni, e le maggiori, che nel mio strumento si contengono, da altri sin qui non sono state nè tentate, nè immaginate» .

È corretto dare a queste parole il significato che il Favaro volle attribuirgli? Se si interpreta questa dichiarazione come una ammissione dell’esistenza di altri compassi, essa diviene inconciliabile con quella, solenne e formale, che leggiamo nel memoriale ai Riformatori: «Onde, essendo io Galileo Galilei sopradetto, vero, legittimo et solo inventore, sì che altri non ve ne ha parte alcuna, dello strumento et di tutte le sue operazioni già da me publicate» .

Sta di fatto che fino al 1607 nessuno a Padova aveva sentito parlare di altri strumenti simili al compasso oltre a quello portato dallo Zugmesser, così miseramente sgominato, tanto è che al Capra, nei contradditori con Galileo, non riuscì di negare al suo avversario la paternità dello strumento.

Non è possibile sostenere la posizione del Favaro senza nello stesso tempo smentire Galileo, che dichiara davanti alle massime autorità accademiche: «sono già dieci anni, havendo dopo lunghi et assidui studii, ridotto a qualche perfezione un mio strumento matematico, di mia pura imaginazione escogitato, inventato et perfezionato, le utilità del quale et in numero et in qualità essendo grandi in tutte le parti della matematiche, tanto contemplative, quanto civili, militari et mecaniche stimai sin dal detto tempo potere a molti giovare col conferire con loro et li strumenti et il modo dell’usargli, dandone appresso in scrittura chiara et piena istruzione »26.

Si tratta anche di non smentire, se è possibile, tutti coloro che presero le parti di Galileo contro il Capra.

A quali strumenti dunque Galileo avrà fatto riferimento? Anche solo limitando l’esame ai cataloghi del Museo di Storia della Scienza di Firenze27 troviamo alcuni esemplari che hanno una vaga rassomiglianza con il compasso, per la forma (regoli incernierati con scale incise) o per la funzione a cui sono destinati: gli strumenti costruiti da Baldassarre Lanci (tra questi lo strumento per la prospettiva o distanziometro, in cui vi sono inseriti due compassi graduati; un archimetro per triangolazioni; un compasso datato 1557); il compasso distanziometro di Antonio Bianchini datato 1564; il regolo topografico di Haumphrey Cole del 1575, con scale per calcolare superfici e volumi e con giunto che si può bloccare ad angolo retto per essere usato come clinometro.

Vi sono altre considerazioni che possono aiutare a far luce sulla questione della completa originalità dell'invenzione galileiana.

Prima di tutto la lenta evoluzione subita dallo strumento, che è documentata in maniera oggettiva: il Mercuriale, per esempio, scrive a Galileo nel 1601 «torno a dirgli che in tutti i modi veda di finire quel suo instrumento geometrico e militare28» . Anche Giovanfrancesco Sagredo e Giacomo Badovere attestano i successivi miglioramenti apportati al compasso.

È significativa l’enfasi data all’uso militare del compasso, utilizzato da Galileo per l’istruzione dei suoi studenti privati. Il Compasso termina con una dichiarazione in tal senso: «Ma, come da principio si è detto, la mia presente intenzione è stata di parlar con persone militari solamente, e di pochissime altre cose fuori di quelle che a simili professori appartengono, riservandomi in altra occasione a publicare, insieme con la fabrica dello Strumento, una più ampla descrizione de’ suoi usi» .

Sappiamo che un suo trattato intitolato Breve istruzione all’architettura militare porta la data del 25 maggio 1593 e viene giudicato dal Favaro un sunto di lezioni tenute da Galileo durante il suo primo anno di insegnamento. In esso, come in altri trattati del genere, all'inizio vengono date alcune nozioni pratiche di disegno, soprattutto si insegna a dividere linee, a riprodurre angoli, a costruire poligoni regolari. Oggetto di insegnamento è anche «il modo di descrivere le piante delle fortezze, con quelle misure e proporzioni che pareranno più atte a rendere la nostra fortificazione tale quale si desidera [...] Fa mestiero che quelle braccia, piedi o pertiche, con le quali vogliamo misurare la nostra vera fortezza, si riduchino a misure così piccole, che possino capire nella superficie piccola ch’aremo innanzi»29;
E qui l’ingegnere militare deve affrontare il problema di dover proporzionatamente crescere o scemare le misure quando si debbano usare unità di paesi diversi e deve affrontare il problema di dichiarare il modo di fare e di usare la scala. Tutte queste operazioni divengono assai semplici con il compasso.

Non era solo Galileo che si sforzava di associare ai suoi trattati e alle lezioni sulle fortificazioni l’uso di opportuni strumenti. Tra molti che hanno descritto strumenti da essi ritrovati, merita di essere ricordato l’autore di un libro che, nel suo genere, è uno dei più belli e istruttivi di quel tempo30: Le fortificazioni di Buonaiuto Lorini, nobile fiorentino che fu stampato a Venezia nel 1597. Ristampando il volume nel 1609, il Lorini vi aggiunse un sesto libro in cui «mostra l'ordine del misurare le distanze & levare le piante» e descrive31 accuratamente la costruzione e l’uso di un nuovo strumento per misurar le distanze, a cui dà il nome di mezzo balestrino.

Nel suo strumento vi è un quadrante che fa il servizio della squadra dei bombardieri perché serve «a bombardieri per mettere a segno l’artiglierie a quella elevatione, che gli occorre per ferire il nemico» ; lo strumento è poi segnato in maniera da potersi «sapere il peso delle palle di ferro dell’artiglierie, appresso il vento che se gli doverà dare» ; può essere usato per livellare il terreno e per misurare le distanze, i monti e le profondità delle valli; serve per disegnare i confini di uno stato o levare le piante delle fortezze ecc. Il compasso può fare tutte queste operazioni, eppure è completamente diverso. Ecco un esempio di cosa forse intendeva Galileo quando faceva riferimento a strumenti « in simili propositi ritrovati ».

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2. Valore scientifico del compasso.



Il sistema metrico decimale è entrato in uso assai recentemente: al tempo di Galileo il braccio fiorentino era diviso in venti soldi, e il soldo in dodici piccioli o denari; il braccio veneto era diviso in dodici once e l’oncia in dodici punti. Sistemi di partizione non decimale occorrevano anche nelle misure di peso, di superficie, di volume e nella monetazione; per questo in molti casi era più semplice esprimere sotto forma di frazione la parte non intera.

Così facendo, però , anche le semplici operazioni aritmetiche potevano risultare non troppo facili; le difficoltà poi aumentavano quando si dovevano estrarre radici quadrate o cubiche.

Il volume 72 dei manoscritti galileiani, conservati presso la Biblioteca Nazionale di Firenze, contiene moltissimi fogli con calcoli fatti da Galileo32. Vi si trovano anche operazioni molto semplici con risultati sbagliati.33
Qualche volta l’errore avviene nella manipolazione delle frazioni: per esempio nel foglio 176r Galileo moltiplica 265 1/2 per 254 3/5 ottenendo 67570. È istruttivo cercare di capire la procedura di calcolo. È assai probabile che Galileo abbia fatto i conti nella seguente maniera: prima ha moltiplicato tra di loro le due parti intere 265x254; senza sommare i prodotti parziali
                                         265
                                         254
                                      ______   
                                        1060
                                       1325
                                       530
                                                       
poi ha moltiplicato 1/2 per 254 e ha scritto il risultato 127 mettendo le unità e le decine nei posti vuoti delle rispettive colonne, aggiungendo una nuova linea non avendo altro posto per scrivere 1 nella colonna delle centinaia.
                                         265   1/2
                                         254
                                      ______   
                                        1060
                                       13257
                                       5302
                                          1
                                                       
A questo punto Galileo avrebbe dovuto moltiplicare 265 per 3/5, ma qui si distrae (i suoi errori ovviamente sono sempre di distrazione) e moltiplica 265 per 1/2.
Aggiunge poi il risultato arrotondato 133 con il sistema di collocare unità , decine e centinaia negli spazi vuoti delle corrispondenti colonne, e arriva così alla forma che hanno tutte le moltiplicazioni nei fogli del volume 72 dei manoscritti galileiani.
                                         265 1/2
                                         254 1/2
                                      __________   
                                          1060
                                         13257
                                         53023
                                           13
                                           1 
                                      __________ 
                                        67570        
                                                    
Nel foglio naturalmente c’è scritto 254 3/5 e non 254 1/2.
A parte l’errore di distrazione, è interessante notare che qui, come anche in altri casi, Galileo non ritiene importante avere il risultato esatto, per il quale sarebbe stato necessario moltiplicare tra loro le due frazioni.

Ci si può chiedere se il compasso può effettuare moltiplicazioni. La risposta è affermativa: l’operazione di moltiplicare due numeri è implicita in quella che Galileo chiama regola del tre. Perché allora Galileo fa i conti a mano e non usa il compasso?

Per rispondere, facciamo il tentativo di moltiplicare 254 per 265 con un immaginario compasso, cercando di intuire il procedimento.

Le istruzioni potrebbero essere queste: si apra un normale compasso in maniera che le punte distino tra loro quanto 100 punti della linea aritmetica. Si apra il compasso geometrico34 in maniera che le punte del compasso ordinario coincidano trasversalmente con i punti 254 delle due linee aritmetiche; si restringano poi le punte del compasso ordinario in maniera che distino solo 26,5 punti e lo si usi per determinare sulle linee aritmetiche i due punti che corrispondono alla distanza trasversale di 26,5. Avremo il risultato moltiplicando per mille il numero corrispondente a questi punti delle linee aritmetiche. Per eseguire divisioni il procedimento è analogo.

Si vede subito che si possono conoscere al massimo tre cifre del risultato: ciò spiega perché il compasso non è una macchina moltiplicatrice molto precisa, (a meno che non abbia dimensioni assai grandi) e perché Galileo non discuta il suo uso a tal fine.

Il compasso è invece assai utile per estrarre radici quadrate o cubiche, perché in questo caso i calcoli non sono elementari per chi non ha una buona istruzione matematica. Galileo sfrutta assai bene queste linee per molte operazioni.

A parte alcune utilizzazione peculiari, come la regola per cambiare le monete o per calcolare gli interessi composti, quasi tutte le applicazioni sono di carattere geometrico. Tra queste hanno abbastanza interesse pratico i diversi modi di misurar con la vista. Lo strumento è quindi utile soprattutto come mezzo didattico per imparare aritmetica e geometria.

Il gesuita Paolo Casati nella sua opera dedicata al compasso35 ci dice a che cosa può servire : « opera utile non solo a geometri, agrimensori, architetti civili, e militari, pittori, scoltori, et a tutti quelli che usano del dissegno, ma anche a bombardieri, sergenti di battaglia, mercanti, et altri, per molte operazioni aritmetiche, fatte con grandissima utilità » . Il Casati nella sua prefazione, dopo aver ricordato quanto fosse difficile trovare libri sull'uso del compasso, fa sapere di non aver «havuto fortuna di vedere mai alcun autore, fuorché il Galilei, di cui ventidue anni sono nella libreria nostra del Collegio Romano mi capitò un picciolo libretto di questa materia da me allhora poco inteso» .

Francesco Maria Gaudio un secolo più tardi scrive36: «Ab eadem doctrina pendet constructio Sectoris Geometrici, qui Circinum proportionum, aut Geometricus, vel etiam Compassus appellari solet» . Poco più avanti troviamo un’affermazione del Gaudio che ci rivela il valore didattico che ancora veniva attribuito al compasso di Galileo a un secolo e mezzo dalla sua invenzione: «La spiegazione di questo strumento e il suo uso abbracciano quasi tutta la geometria pratica e questa spiegazione occuperà senza dubbio una notevole parte della nostra Geometria Pratica. Sia qui sufficiente accennare al principio da cui deriva e che deve essere stato presente alla mente del suo inventore allorché lo immaginò» .

Per quanto concerne il valore scientifico del compasso, non si può negare che le linee di gran lunga più interessanti sono le linee metalliche. Per conoscere i valori delle densità segnate da Galileo lungo queste linee, occorrerebbe avere un compasso di documentata provenienza galileiana, oppure misurare le distanze sull’incisione pubblicata nel 1640 a Padova, con il presupposto che essa lo descriva accuratamente. Nel testo, di esplicito, appare solo il rapporto tra i volumi di due sfere di ugual peso, una d'oro e l’altra d’argento. Il rapporto 0,6 indicato potrebbe essere un valore arrotondato, perché secondo le densità della tabella che usualmente viene associata alla Bilancetta, il rapporto è invece 0,54, coincidente con i risultati di misure moderne.

Sono assai interessanti, per quel che dicono a proposito delle linee metalliche, le trattazioni di Mattia Bernaggeri e del Capra, che allargano molto la discussione, soprattutto il primo. Lo stesso Galilei si era meravigliato per l’indicazione fatta dal Capra del valore della densità dell’argento vivo, come allora veniva chiamato il mercurio.

Nessuno dei due tuttavia si era accorto di un notevole errore in cui Galileo era incorso.

Pierre Petit in un libricino estremamente interessante pubblicato37 nel 1634, parte del quale era stata composta fin dal 1625, lo rende pubblico nella proposizione VIII che inizia a pagina 113 ed è intitolata «Erreurs de Galilée, de Berneggerus & de Henrion38». Per il suo interesse ne riportiamo un ampio stralcio: «Mathias Berneggerus nella traduzione che egli dice di aver fatto del trattato italiano sull’uso del compasso di proporzione di Galileo, alle pagine 32 e 33 dice che per sapere le grandezze dei corpi misti e composti di differenti metalli, occorre dividere la differenza delle dimensioni dei menzionati metalli semplici secondo la proporzione data dalla lega e prendere il punto di questa divisione.

Per esempio, sia CD la grandezza o diametro del rame (è il suo stesso esempio) e CE sia quello dello stagno, e si debba trovare la grandezza di un corpo misto di tre parti di rame e di due di stagno. Egli dice che per farlo occorre dividere la differenza DE in tal maniera che DF contenga due parti e FE ne contenga tre. Allora la linea CF è la grandezza o diametro del corpo misto di detti metalli,

                                    C         D    F      E
                                    _______________________
                                    |         | | | | | | |
                                    
                                                            

secondo la menzionata proporzione di 3 di rame ogni 2 di stagno. Per sapere se Galileo stesso l’abbia detto, apparentemente non è molto da crederlo, benché il suo traduttore l’assicuri: ma uno dei nostri scrittori comuni [= Escrivains ordinaires] che prende facilmente dagli altri quello che vi trova di meglio39, non ne ha alcun dubbio e ha dato questa falsa pratica per cosa del tutto sicura secondo Berneggerus.
Ecco le sue stesse parole, a pag. 143 dell’uso del compasso di proporzione dell’anno 1626 e 1631: si può fare la stessa cosa di due metalli mescolati insieme, e di una lega metà d’argento e metà di rame, occorre dividere in due parti uguali la distanza tra i due caratteri [=segni chimici] dell’argento e del rame, in seguito operare con il punto di questa divisione esattamente come con quelli dei metalli semplici. Ma se si vuole la lega di una parte di rame su due d’argento, occorre dividere la detta distanza in tre parti uguali e il punto della prima divisione, cioè di uno che è vicino all’argento, sarà quello da utilizzare per la lega di una parte di rame su due d'argento. Invece per una lega d’una parte d’argento su due di rame, occorrerà prendere il punto più vicino al rame. Ecco la bella opinione che occorre rifiutare per mezzo dei suoi stessi numeri: per esempio, avendo dato il diametro dell’oro di 730 parti, e quello dell’argento di 895, egli conclude che il corpo che è una lega metà oro e metà argento avrà certamente il suo diametro a metà della loro differenza, che è 165; cioè che aggiungendo 82 e mezzo, metà di questa differenza, a 730, che è l’oro, si avrà 812 e mezzo, per la grandezza del corpo misto nella detta proporzione e uguale agli altri» .

Pierre Petit ha bisogno di altre due pagine per spiegare l’errore e arrivare alla sua conclusione: nel caso della lega di ugual parti di oro e argento, se le tre sfere d’oro, d’argento e della lega, devono avere ugual peso, allora il cubo del diametro della lega è uguale alla semisomma dei cubi dei diametri delle sfere d’oro e d’argento. Per questo motivo il diametro della lega è 820 e non 812 e mezzo, come asserivano Henrion e Galilei40.

Ci si può chiedere se Galileo si sia accorto in seguito di questo errore e, in caso affermativo, perché non abbia cercato di ristampare il Compasso, cogliendo così l’opportunità sia per questa correzione sia per render note quelle ulteriori applicazioni da lui non inserite nell’edizione del 1606.

La ragione plausibile sta forse nella gran quantità di pubblicazioni sul compasso che uscirono nel giro di pochi anni. A Galileo doveva esser bastata la disputa con il Capra; certo non voleva essere trascinato in nuove polemiche proprio ora che con la sua notorietà attirava l’interesse di chi con le polemiche poteva sperare di mettersi in luce.

L'Henrion per esempio, che faceva risalire le sue ricerche sul compasso al 1606, si era premurato di proclamare la propria originalità : « Dunque, io chiamo mio questo uso del compasso, perché io l’ho fatto senza averne visto alcun altro, e di fatto nessuno ancora aveva messo alla luce nulla, e quelli che subito dopo ne pubblicarono qualcosa, ignoravano le più belle operazioni di detto compasso. [...] Or sono due anni il signor Gunter, professore di astronomia al collegio di Gresham a Londra, ha fatto stampare in inglese un uso di questo compasso, nel quale vi sono alcune di quelle proposizioni, che io avevo messo in luce dodici anni prima» .

Il libro citato dall'Henrion è quello di Edmund Gunter: The description and use of the Sector (London 1623).

Possiamo fare un rapido elenco di altre pubblicazioni, di cui ci suggerisce il titolo il Venturi41:

1604. Hulsii Levini, Beschreibung und Unterricht des Jobst Bürgi proportional-Cirkels. Frankfurt.

1605. Philippi Horcher, Libri tres, in quibus primo constructio circini proportionum edocetur. Deinde explicatur quomodo eodem mediante circino, tam quantitates continuae, quam discretae, inter se addi, subduci, multiplicari, et dividi, brevissimo compendio posint. Maguntiae.a

1607. Balthasaris Caprae. Usus et fabrica circini cuiusdam proportionis. Patavii.
1608. Leonhard Zubler, Nova Geometria Pyrobolia, Zurich.
1610 Faulhabers. Proportional-Zirkel; (nel suo trattato delle nuove invenzioni di geometria e prospettiva) Ulmae.
1610. Georgius Gelgemayers, Unterricht von proportional cirkel. Laungingen (ristampe: Augsburg 1610, Ulm 1615 e 1617).
1613. Galilaeis de Galilaeis, De proportionum instrumento [...] Tractatus, [. ..] a Mathia Berneggero ex italica in latinam linguam translatus: adjectis etiam notis illustratus, quibus & artificiosa Instrumenti fabrica, & usus ulterior exponitur. Argentorati. (Rimesso in circolazione nel 1635 con nuovo frontespizio).
1615. Christ Laurenbergii, Clavis instrumentalis; oder arithm.Geom.Proportional-Instrument. Leipzig.
1618. D. Henrion, Usage du compas de proportion. Paris. (Ristampe:1624, ecc. Tra il 1630 e il 1681 furono fatte più di venti edizioni).
1619. Georgius Gelgemayers, Centiloquium circini proportionum. Nurnberg.
1623. Adriani Metii, Praxis nova geometrica per usum circini proportionalis. Franeckerae. (Ristampe ibid. 1625, Amstelod 1629).
1626. Mich. Cornette, La géométrie reduite en une facile pratique par deux instruments, dont un est le pantomètre ou compas de proportion. Paris.
1626. Nicolaus Barthelt, Instrumentum instrumentorum[...]. Alten Stettin.
1627. Wolffangus Lochman, Instrumentum instrumentorum. Alten Stettin (ristampa: Rostoch 1627).
1634. P. Petit, Construction et usage du compas de proportion. Paris.

Per Galileo ce n’era abbastanza per rinunciare a una ristampa del libro: aveva ben altro in mente!

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3. Utilizzazione economica.



Raccogliendo e collegando tra loro le notizie riferibili al compasso geometrico, è possibile far emergere in maniera chiara i motivi economici e scientifici che spinsero Galileo a cercare il Granduca per un conveniente e definitivo ritorno in Toscana. Infatti, la via che trovò per avvicinare il suo sovrano42, fu quella dell’istruzione matematica del giovane Cosimo attraverso l’uso del compasso.

Riconosciuto il ruolo importante del compasso nella "strategia del ritorno", risulta più comprensibile anche il motivo della protesta contro il Capra, che, con il plagio dello strumento e della scrittura, poteva compromettere il suo piano.

I contatti, che portarono ad un progressivo avvicinamento, furono avviati da Galileo durante il lungo periodo che andò dal 27 settembre 1604, quando ebbe termine il suo contratto per la Lettura delle Matematiche a Padova, fino al 6 agosto 1606, quando, dopo quasi due anni di attesa, finalmente fu di nuovo confermato.

Nel giugno del 1605 infatti Galileo riuscì a far giungere a Cristina di Lorena la notizia della sua intenzione di dedicare al principe ereditario di Toscana una scrittura sull’uso del compasso. La mossa fu opportuna, perché ne ebbe subito l’assenso e un invito a passare l’estate a corte.

In tal modo stabilì un contatto che seppe poi consolidare, con la stima che si guadagnò presso la famiglia granducale.

Quali sono le motivazioni che gli fecero desiderare un cambiamento radicale di vita? Più importante fra tutte l’esigenza che travagliò Galileo, non più giovanissimo, di portare a termine il grande progetto intellettuale che ormai aveva ben chiaro davanti a sè . Niente più insegnamento, niente lezioni private, non più studenti a dozzina; solo tempo libero per ricercare, sperimentare, scrivere.

Sapeva di aver bisogno di tutto il suo tempo per realizzare la sua scienza nuova, per dare sostanza a quel «concetto immenso e pieno di filosofia, astronomia, geometria» che aveva concepito: non poteva allora prevedere che per realizzarlo avrebbe dovuto attendere ancora trenta anni e superare tante battaglie.

Nella dedica del compasso a Cosimo vi è una promessa molto significativa: Gradirà dunque l’A.V.S. questo mio, dirò quasi, scherzo matematico, ai suoi primi giovanili studii nobilmente conforme; ed avanzandosi con l’età in queste, veramente regie, discipline, aspetti di tempo in tempo dal mio basso ingegno tutti quei più maturi frutti, che dalla Divina Provvidenza m'è stato e mi sarà conceduto di raccorre» .

Galileo ritornò con ogni onore alla cattedra di Pisa, lasciata nel 1592; ma solo pro forma perché Cosimo, divenuto granduca, tenne presente ogni sua richiesta43 e lo elesse non solo Primario Matematico dello Studio (perché così fosse lecito provvedere al pagamento dello stipendio con i denari dell'università ), senza obbligo d’habitare in Pisa nè di leggervi se non honorariamente, quando piacesse a voi o ve lo commettessimo espressa et estraordinariamente noi»44, ma soprattutto proprio Primario Matematico e Filosofo» . In vista delle discussioni di principio che si aspettava di dover affrontare, la qualifica di filosofo a Galileo serviva moltissimo, e la richiese esplicitamente durante le trattative per il ritorno, avendo dichiarato di aver studiato più anni in filosofia, che mesi in matematica.

È sorprendente ravvisare che pubblicando nel 1606 Le operazioni del Compasso geometrico et militare, a quarantadue anni e con quasi vent’anni di insegnamento e di ricerca alle spalle, Galileo dava alle stampe la sua prima opera. Un'edizione di soli sessanta esemplari, mai più da lui ristampata. Un’edizione fatta imprimere in casa e destinata prima al Serenissimo principe di Toscana mio Signore e poi ad altri Signori, da i quali so questa mia fatica esser desiderata» .

Quarantadue anni! Del periodo padovano scriverà allora: venti anni ed i migliori di mia età in dispensare, come si dice, a minuto alle richieste d’ognuno quel poco di talento che da Dio e dalle mie fatiche mi è stato conceduto nella mia professione» 45.

È facile comprendere in quale estremo grado di dolore lo ridusse Baldassar Capra: colui che dell’onore, della fama e della meritata gloria, bene non ereditato, non dalla natura, non dalla sorte o dal caso, ma da i nostri studii, dalle proprie fatiche, dalle lunghe vigilie contribuitoci, con false imposture, con fraudolenti inganni e con temerarii usurpamenti ci spoglia» .

Il Capra, dando alle stampe come parto del suo ingegno il Compasso geometrico e militare, si era fatto autore dello strumento, praticamente tacciando Galileo di usurpatore sfacciato, quel Galileo che solo un anno prima aveva consacrato il compasso al nome del Serenissimo Principe di Toscana suo Signore.

Ed ecco la sua Difesa contro alle calunnie ed imposture di Baldessar Capra, primo esempio della splendida e animata prosa galileiana; efficace, polemica e, nello stesso tempo, lucida ed equilibrata; alcune pagine sono un vero capolavoro che preannuncia Il Saggiatore; scritta a difesa e reintegrazione del suo onore contro chi aveva cercato di presentare il Compasso come opera propria.

Questi episodi, che potrebbero essere ritenuti secondari, si svolgono in un momento molto delicato della vita di Galileo e gli avvenimenti che li precedono e li seguono sono in varie maniere collegati a questi scritti e allo strumento che vi è illustrato.

Non è agevole intuire la psicologia di Galileo (a cui alcuni attribuiscono un carattere aggressivo), se non si tengono presenti le difficoltà economiche che pesarono su di lui per quasi mezzo secolo. Occorre partire da lontano, dalla morte del padre46. Se vi è un episodio nella sua vita in cui gli aspetti economici hanno certamente pesato più di quelli scientifici, questo fu il partito preso da Galileo di abbandonare Pisa per la Lettura di Padova, e tale decisione fu certamente dovuta alle necessità della famiglia a cui egli, primogenito, doveva provvedere.

Il Favaro che racconta con molta accuratezza le circostanze della sua andata a Padova47, incorre in un errore di una certa rilevanza, perché ritiene che Galileo avesse accettato uno stipendio assai poco superiore a quello percepito a Pisa: ebbe così una ragione di più per ritenere fondati quei motivi dell'andata a Padova, che furono raccontati dai primi biografi di Galileo, il Viviani e l’Arrighini.

Diamo subito alcune informazioni. Nei rotoli dello Studio di Pisa per gli anni 1589 e 1590 si legge che a Galileo erano stati assegnati fiorini 60, e gli estratti dai libri di cassa degli anni 1589-1592 riportano « a Mess. Galileo Galilei ducati sessanta di moneta48 ».Quindi Galileo guadagnava a Pisa 420 lire fiorentine49.

Non è inutile ricordare che nel rotolo del 1589-90 vengono nominati in tutto 41 professori; di essi ben dieci ricevettero solo 45 ducati di stipendio annuo, mentre la retribuzione massima fu quella dei due professori di diritto civile: quello che insegnava di mattina aveva 650 ducati, quello che insegnava nel pomeriggio riceveva 600 ducati. Per un giovane al primo insegnamento non era perciò trascurabile uno stipendio di 60 ducati, soprattutto se poteva integrarli con i proventi delle lezioni private.

Siamo però sempre ai valori più bassi delle retribuzioni: a Firenze in quegli anni un muratore guadagnava due lire al giorno, cioè da 80 a 90 ducati l’anno, la metà i manovali e i braccianti agricoli.

A Padova Galileo ricevette nella sua prima condotta 180 fiorini, equivalenti a 900 lire veneziane50, il doppio rispetto a Pisa.

Si ingannò il Favaro nello stimare il valore della lira veneziana metà di quella fiorentina; in realtà la lira veneta e quella fiorentina sono due monete di conto, cioè fittizie, che vennero utilizzate per secoli nella pratica commerciale e nella contabilità , per regolare il valore delle monete in proporzione alla quantità d’oro e d’argento contenuto e in funzione del valore relativo dei due metalli. Dato che alle monete veneziane e fiorentine contenenti la stessa quantità d’oro o d’argento veniva assegnato lo stesso valore in lire, le due monete di conto hanno mantenuto per lungo tempo approssimativamente lo stesso valore51.

È facile ravvisare dai documenti pervenuti che le ragioni per cui Galileo lasciò Pisa furono essenzialmente economiche, e che i motivi riportati dal Viviani e dal Gherardini non sono quelli che pesarono di più : i loro racconti sembrano fatti apposta per nascondere il reale fattore economico, a cui nessuno dei due biografi accenna neanche di sfuggita.

È una ipotesi non troppo azzardata supporre che il contenuto dei loro racconti risalga allo stesso Galileo: poteva il matematico e filosofo del Granduca senza imbarazzo confessare che per pochi ducati Ferdinando si era lasciato sfuggire un ottimo professore, che avrebbe potuto portare gran lustro all’università di Pisa? La ragionevolezza di questa ipotesi può trovare un fondamento nella delicatezza e nell’attenzione che Galileo sempre tenne nei rapporti con i Medici, di cui non dimenticò mai di essere suddito.

Il Viviani narra che molti filosofastri suoi emuli, fomentati da invidia, se gli eccitarono contro;
« e servendosi di strumento per atterrarlo del giudizio dato da esso sopra una tal macchina d’invenzione d’un eminente soggetto, proposta per votar la darsina di Livorno, alla quale il Galileo con fondamenti meccanici e con libertà filosofica aveva fatto pronostico di mal evento (come in effetto seguì ) seppero con maligne impressioni provocargli l’odio di quel gran personaggio; ond’egli rivolgendo l’animo suo all’offerte che più volte gl’erano state fatte della cattedra di Padova, che per morte di Gioseppe Moleti stette gran tempo vacante, per consiglio e con l’indirizzo del Sig.r Marchese Guidubaldo s’elesse con buona grazia del Ser.mo Gran Duca di mutar clima avanti che i suoi avversari avessero a godere del suo precipizio52».

Sta di fatto che la scontentezza di Galileo si era manifestata subito. Guidobaldo del Monte, che si era adoperato per fargli avere la Lettura di Pisa, scriveva a Galileo il 10 aprile del 1590:
«la vorrei vedere più contenta e meglio trattata, secondo li meriti suoi. Io non ho avuto per ancora nuov’alcuna da Venetia; ma io cercarò di saper qualche cosa e non mancherò di avvisargliene.» .

Galileo quindi a metà del suo primo anno di insegnamento stava già cercando di spostarsi. Guidobaldo all’inizio del secondo anno accademico chiede:
« Una delle cose che io desideravo di sapere è se V.S. ha mai avuto accrescimo di provisione, che questo vorrei che fusse secondo il mio desiderio et il merito suo» . Infine abbiamo un’altro intervento sull’argomento il 21 febbraio 1592:
« Mi dispiace ancora di vedere che V.S. non sia trattata second’i meriti suoi e molto più mi dispiace che ella non habbi buona speranza. Et s’ella vorrà andar a Venetia questa state, io l’invito a passar di qua, che non mancarò dal canto mio di far ogni opera per aiutarla e servirla; che certo io non la posso veder in questo modo. Le mie forze sono deboli, ma, come saranno, io le spenderò tutte in suo servitio53».

Dunque le preoccupazioni di Galileo erano allora di ordine economico. Se le difficoltà fossero state quelle supposte dai suoi primi biografi (invidie accademiche e l’ostilità di Giovanni de’ Medici), Guidobaldo avrebbe potuto tentare di rimediare, giacché era tenuto in grandissima stima in casa Medici. Più difficile era fargli avere un forte aumento (cioè trattarlo secondo il suo merito) e procurargli eventualmente lezioni private ben remunerate, quali Galileo poteva invece sperare di ottenere a Padova, ove la cattedra era libera.

Il marchese, ormai suo ammiratore, aveva studiato a Padova e nella Repubblica aveva amici influenti; per contro54 quali altri appoggi aveva a Firenze Galileo?

Galileo a fine agosto del ’92 andò a Venezia e Giovan Battista Pinelli, influente amico del Marchese Guidobaldo, in pochi giorni fu in grado di ottenere per lui il posto di Lettore delle Matematiche, che era vacante dal 1588 per la morte di Giuseppe Moletti55:
« mi ha detto che darà alla S.V. li 200 fiorini senz’altro, et sarà costì domani o l’altro senza fallo; si che la S.V. ne potrà star sull’aviso, et subito al suo arrivo andarlo a ritrovar, per ringraziarlo del suo buon animo et così far instanza per la spedizione56».
La persona a cui Pinelli si riferiva in questa lettera del 9 settembre era il procuratore Giovanni Michiel, uno dei tre Riformatori dello Studio: Galileo doveva sollecitargli la spedizione del decreto, che fu emesso il 26 dello stesso mese.

Galileo, ormai sicuro della nomina, fece arrivare a Ferdinando de’ Medici la notizia della sua chiamata a Padova attraverso Giovanni Uguccioni. Ne abbiamo notizia da una lettera che il Residente di Toscana a Venezia scrisse a Belisario Vinta il 15 settembre 1592:
« Sono in Padova, e sono venutoci con Mess. Galileo Galilei, che legge la Matematica in Pisa; quale quindici giorni fa venne per vedere Venetia, et in tanto hieri in carrozza, in discorrendo meco, mi disse che in Venetia era stato ricerco di leggere in Padova, e che crede che harebbe 200 scudi incirca di salario l'anno e che ha risposto che, sendo al servitio del Gran Duca, non può risolvere cosa nessuna, onde credo che se ne venga a cotesta per trattare di questo negotio con S.A.S.» .

Il Granduca prese atto di questa offerta, che per l’equivoco dei fiorini trasformati in ugual numero di ducati sembrava triplicare lo stipendio, e non trattenne Galileo, dandogli facoltà di lasciare lo studio pisano, decisione ancor più comprensibile se è vero che il giovane professore era malvisto da alcuni colleghi e da Giovanni de’ Medici.

Ma a Padova la situazione economica non fu mai del tutto soddisfacente e Galileo, per tirare avanti, si vide costretto a seguire il tradizionale sistema delle lezioni private. Per alcuni anni, fin quando le forze giovanili lo sorressero, riuscì a trovare anche il tempo per le sue ricerche e per i suoi studi, ma non quanto ne avrebbe avuto bisogno.

Tra le cause delle sue difficoltà vi è certamente il continuo aumento del costo della vita: accenniamo qui solo di sfuggita al fenomeno della cosidetta rivoluzione dei prezzi che si ebbe in tutti i paesi europei nella seconda metà del cinquecento con l’inizio di un movimento inflazionistico, che ebbe il suo acme nel periodo 1590-1610, con forti rincari del costo della vita.

Se in tutti gli stati vi furono turbamenti e malessere economico, le difficoltà di Venezia furono anche maggiori. La Repubblica era ormai entrata in una crisi profonda: prima l’incendio dell’Arsenale (1569), poi la crisi del commercio per la guerra contro i turchi che si concluse con la perdita di Cipro (1571), poi la peste del 1575, che spopolerà l’università di Padova57, e infine nel 1606 l’interdetto di Paolo V.

A Firenze invece, morto Francesco de’ Medici, la nuova politica granducale sembrava annunciare un periodo di prosperità economica.
Malgrado tutto, Galileo poté far fronte alle strettezze incrementando le sue entrate con le lezioni private e con gli studenti che aveva, a dozzina, in casa sua58. Lo scienziato aveva anche avviato una discreta produzione di strumenti scientifici: faceva fabbricare da un bravo meccanico non solo i suoi compassi geometrici, ma anche bussole, strumenti da disegno e persino bilance. Il compasso per lo più veniva dato da lui ai suoi studenti praticamente a prezzo di costo; dai più abbienti spesso riceveva in cambio ricchi doni.

Per contro Galileo dovette affrontare in quegli anni il peso della sistemazione matrimoniale della sorella Livia, come prima aveva fatto per Virginia; così nel 1601 si impegnò gravosamente per la sua dote: 800 ducati subito e 200 ducati all’anno per cinque anni. Fu costretto anche a soccorrere più volte economicamente il fratello Michelangelo. Doveva inoltre pensare alla madre a Firenze, e alla famiglia naturale che era sorta dalla relazione amorosa con Marina Gamba: la primogenita era nata nel 1600; a distanza di un anno la seconda; infine nel 1606 Vincenzio, l’unico figlio che Galileo potè riconoscere.

A Padova e a Venezia, ove spesso si recava, Galileo, con la sua personalità affascinante e il suo carattere socievole, non aveva avuto difficoltà a sviluppare una ampia rete di relazioni, che coinvolgeva conoscenti e amici colti e facoltosi, e che richiedeva un tenore di vita notevolmente dispendioso.

Lo Studio di Padova era il proprio domicilio del suo ingegno» gli aveva scritto dieci anni prima Girolamo Mercuriale59. Galileo però non era soddisfatto della situazione economica, che aveva una immediata ripercussione sulla sua produzione scientifica: godeva, è vero, di notorietà di livello internazionale per la sua attività di professore e per la corrispondenza che manteneva con molti scienziati e personalità ; ma le lezioni private e gli scolari che teneva in casa erano di impedimento o di ritardo ai suoi studi60.

Già da tempo aveva iniziato a lavorare su alcuni dei temi intorno a cui costruirà i due grandi capolavori della sua tarda maturità , ma teneva celati i risultati.

Aborriva la servitù meretricia di dover esporre le sue fatiche al prezzo arbitrario di ogni avventore. Desiderava portare a termine le opere che aveva intrapreso, con tutto ciò
« nè anco la libertà che ho qui mi basta, bisognandomi a richiesta di questo e di quello consumar diverse hore del giorno, et bene spesso le migliori. Si trovava ad avere diverse invenzioni et molte più ne troverei, quando havessi più otio et più comodità di artefici, dell’opera de i quali mi potessi per diverse esperienze prevalere61 » .

E Galileo mirò a ritornare al servizio del Granduca di Toscana, perché simili comodità non poteva ottenerle solo da un principe assoluto.

Si arrivò ad un episodio estremamente sgradevole, a cui abbiamo già accennato. Fin dal 27 settembre del 1604 era terminata la seconda condotta di Galileo nella Lettura delle Matematiche a Padova62. Galileo non riusciva a farsi riconfermare con un congruo aumento. Pochi mesi prima Vincenzo Gonzaga da Mantova gli aveva fatto dire di volerlo al suo servizio, proponendogli 300 ducati all’anno e la spesa per lui e per un servitore. Galileo63 aveva fatto conoscere le sue pretese: 500 ducati e tre spese. Il Serenissimo Duca di Mantova, che due anni prima aveva voluto sentire da Galileo la spiegazione dello strumento, e gli aveva poi donato una collana e una medaglia con la sua effigie64, dovette rinunciare:
« essendo giusto che ella goda di quella libertà che ha di procurar il suo commodo65» .
Favaro66 ritiene che Galileo prestò orecchio a quelle proposte soprattutto per servirsene al fine di ottenere un miglioramento di condizioni, nella occasione della nuova ricondotta.

Soltanto il 5 agosto 1606 - circa un mese dopo aver avuto la licenza di stampare il Compasso - giungeva la sospirata riconferma nella Lettura, per altri sei anni (come al solito), ma con un aumento di stipendio di duecento fiorini, merito anche delle raccomandazioni del Granduca67: Galileo aveva iniziato con 180 fiorini nel 1592; era passato a 320 nel 1598 e adesso giungeva a 520 fiorini.

Abbiamo avuto modo di illustrare quanto valesse in moneta corrente lo stipendio di Galileo; sta di fatto che non gli era sufficiente, nonostante i periodici incrementi che abbiamo ricordato. Nel 1601 il suo amico Girolamo Mercuriale gli aveva dato un suggerimento prezioso: l’essorto in tutt’i modi ad esporsi di venire, perché
«il S.r Prencipe68 havrà passati gli dodici anni, et tengo certo serà capace di tutte quelle cose matematiche che V.E. gli saprà mostrare; et sappi certo che quel figliuolo ha un felicissimo ingegno e memoria, et sopra il tutto è il più curioso cervello che si possa immaginare: onde credo havrà occasione V.E. di essercitare il suo talento, et chi sa anco che non possa essere qualche sua buona fortuna. Però torno a dirgli che in tutt’i modi veda di finire quel suo instrumento geometrico e militare, acciò possa lei medesima portarlo il seguente anno per San Gioanni a Firenze, dove serò ancor io: et fra tanto con la prima occasione farò quel’ufficio che si deve con le loro AA.SS.me; et se V.E volesse mandarmi un breve ritratto di quello che fa per il S.r Prencipe, con l’uso et utilità sue, lo mostrarei alle loro AA., et so certo che il Prencipe ne prenderebbe diletation 69».

Non è difficile capire la situazione in cui si trovava Galileo: aveva progetti ambiziosi, giustificati da molti risultati importanti teorici e sperimentali ormai acquisiti, e quindi aveva bisogno di poter dedicare tutto il suo tempo allo studio ma, come dirà
«ottenere da una Repubblica, benché splendida et generosa, stipendii senza servire al publico non si costuma, [...] in somma simile comodità non posso io sperare da altri, che da un principe assoluto...»70.

Con le sue ricerche aveva raccolto materiale sufficiente per scrivere tre opere71, di cui già aveva deciso il titolo: due libri De sistemate seu constitutione universi «concetto immenso et pieno di filosofia, astronomia, et geometria» (diverrà venti anni dopo il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo),
tre libri De motu locali (inclusi poi nei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienza) a cui Galileo attribuisce fin d’allora grandissima importanza chiamando il contenuto scienza interamente nuova,« non havendo alcun altro, nè antico nè moderno, scoperto alcuno de i moltissimi sintomi ammirandi, che io dimostro essere ne i movimenti naturali et nei violenti, onde io la posso ragionevolissimamente chiamare scienza nuova et ritrovata da me sin da i suoi primi principi»
ed infine tre libri delle Mecaniche.

Galileo doveva ottenere il favore, anzi la familiarità del Granduca. Quattro anni dopo Mercuriale, Vincenzo Giugni gli scrive72:
« Et sentendoli lodare il vostro instrumento, et con quanta prestezza e’ si può rendere utile a’ principi et a’ particolari, mi è parso farne passata con Madama Ser.ma nostra Padrona, dicendoli nel meglio modo che ho saputo, la volontà di V.S. essere d’indirizzare detto instrumento et ragion d’esso all’Altezza del Principe nostro; et ho ancora detto di più , che potrebbe fare risolutione di passare qua per questa state per passare le vacanze et fuggire i caldi et rendersi pronto a mostrare al Gran Principe di quant’utilità sia il suo instrumento: la qual Madama m’ha risposto che sia indiritto al Gran Principe, et che passando qua sarà visto come meritano le sue virtù . Però venga allegramente, chè sarà ben vista» .

Per valutare questa lettera basta sapere che fin dal 28 ottobre 1604 era arrivato da Galileo il figlio del Giugni, Niccolò , per rimanervi a dozzina. Costui fece ritorno a Firenze nell’aprile dell’anno seguente. Fu lui a lodare il compasso e il suo maestro presso il padre e, dietro suggerimento di Galileo ormai deciso a pubblicare il Compasso, a far chiedere dal padre l’assenso per la dedica a Cosimo.

Il 15 agosto 1605 Galileo viene ufficialmente invitato:
« Desidera Madama Ser.ma la venuta di V.S. qua, sì per il virtuoso trattenimento del Ser.mo Principe, come anco per l’acquisto della sanità di lei in questa felicissima aria di Pratolino73» .
I primi risultati non furono molto incoraggianti all’inizio, se il precettore del principe Cosimo gli scrive alla fine di quell’anno:
« Circa i studii del Ser.mo Principe nostro, de’ quali desidera che io le dia conto, se ella intende delle mattematiche, posso dirle assolutamente che dalla partita di V.S. di Fiorenza in qua, non ha pur visto, non che operato, mai l’Istrumento, non perché la scienza non piaccia molto a S.Altezza, ma parte perché non vi è chi si ricordi così bene le operazioni, et parte perché la Corte è andata continuvamente innanzi et indietro, senza altri diversi impedimenti che vi sono stati; ma come saremo in Pisa, si farà intorno a ciò , al sicuro, qualche cosa. Intanto ella mettarà mano, et forse finirà di stampare il libro, che servirà al Sig.r Principe per un gran stimolo, non che per memoriale74».

La simpatia e l’apprezzamento del Granduca si manifestarono subito. Intervenne efficacemente75 per sollevare Galileo da ciò che lo angustiava allora: il ritardo nella riconferma alla Lettura delle Matematiche.

Per Galileo le parole di Ferdinando I (che gli vennero puntualmente riportate), furono certo una conferma della intravista possibilità del suo non lontano ritorno definitivo a Firenze:
« molto volentieri vogliamo aiutare il Galileo perché è virtuoso; però di’ al Vinta, che in su la lettera che noi scriviamo al Residente, dica che lo raccomandi efficacissimamente76».

Il Vinta tre anni più tardi, gli riferiva le parole di Cristina di Lorena:
« Scrivi al Galileo che essendo egli il primo e il più pregiato matematico della Christianità , che il Granduca e Noi desideriamo che questa estate venga qua, ancorchè gli sia per essere d’incomodo, per esercitare il S.r Principe nostro figliuolo in dette matematiche, che tanto se ne diletta77».

Puntò tutto sul Compasso geometrico. Di finito e di meglio allora non aveva che quello. Gli altri scritti erano infatti di minore importanza: accanto ad alcuni opuscoli andati perduti, aveva scritto una Breve istruzione all’architettura militare, un Trattato di fortificazione78 e un testo, che utilizzava forse per le sue lezioni, Le Mecaniche79.

Le Mecaniche erano un'opera che le sue ricerche avevano ormai reso superata; quanto al Trattato di fortificazioni, anche se sappiamo che Galileo aveva avuto in mente di scrivere alcuni libri attinenti al soldato, niente fa supporre che abbia mai pensato di pubblicare il testo nella forma in cui è giunto a noi: esso non regge al confronto con i testi coevi, scritti da ingegneri militari di grande esperienza, ai quali certamente aveva fatto ricorso per documentarsi80.

Il Compasso invece aveva avuto un grande successo; Galileo calcolava di averne fatto fabbricare più di 100, che erano stati venduti o donati a Principi e Signori di diverse nazioni, lo strumento era ormai stato portato in tutta l’Europa dai suoi scolari, spesso unito a scritture che dichiaravano il modo di usarlo. Galileo puntò tutto sul Compasso.

Abbiamo già accennato con le stesse parole di Galileo alla sua necessità di avere più tempo disponibile per le sue ricerche e per il compimento dei grandi lavori già ben avviati, ma un altro motivo d’ordine scientifico, di cui Galileo non parla, deve certamente aver pesato assai nella determinazione di lasciare l’università di Padova: il desiderio di portare avanti la diffusione di quella nuova teoria cosmologica di cui egli era ormai convinto assertore, e su cui stava scrivendo un libro, per il quale aveva già deciso il titolo De sistemate, seu constitutione universi.

Un proposta che allora non era solo scientifica, ma anche ideologica; un'opera di divulgazione che avrebbe avuto contro non solo tutti i peripatetici, così potenti in molte università , ma anche gran parte dei teologi; un'idea che in piena restaurazione cattolica poteva essere ritenuta stravagante ed erronea.

Galileo voleva che le teoria copernicana fosse accettata dalla gerarchia ecclesiastica; ma non avrebbe potuto ottenere la neutralità della Curia rimanendo nella Venezia dell'interdetto, nella cerchia di Paolo Sarpi e di Gianfrancesco Sagredo, nella repubblica che aveva cacciato i gesuiti dallo stato.

I Medici invece erano strettamente legati alla Chiesa, Paolo V era toscano, Galileo aveva buoni rapporti con l’influentissimo padre Clavio, il più profondo conoscitore della matematica e dell'astronomia che avesse l'Ordine di S.Ignazio.

Anche per questo motivo era arrivato il tempo di tornare in Toscana; soltanto di lì poteva allontanare la malignità dei nemici, falsamente ammantati di zelo e di carità , non più semplice professore, ma eminente scienziato e cortigiano amato dal suo principe.

La pressione a ritornare in patria viene dunque prodotta da molteplici esigenze scientifiche ed economiche, tra cui è difficile identificare quella che operò con maggior forza.

Abbiamo cercato fin qui di mostrare quanto fu importante il compasso, sia lo strumento che il suo manuale, nella realizzazione delle speranze di Galileo. Certo il grande scienziato non poteva immaginare che avrebbe avuto ben presto la sorte di costruire il telescopio e di fare sconvolgenti scoperte nei cieli.

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